Torino, 25/10/2016
Premessa per i lettori: Non me ne vogliano per l’autocitazione in prefazione. In questo articolo si devono riconoscere, tutti i ragazzi che hanno deciso di scegliere questo “ruolo”, quello del Portiere, particolare ma importantissimo e unico.
Quando ero un ragazzino, e giocavo a calcio, il mio ruolo era il portiere da sempre un ruolo che mi piaceva. I miei idoli erano gente come: Dino Sarti, Cudicini, Rino Rado, Pizzaballa, ecc. Erano i tempi del “bianco e nero” in tv per chi c’è l’aveva, quando la domenica pomeriggio ci riunivavamo nel quartiere ad ascoltare “tutto il calcio minuto per minuto”, offerto dalla “Stock di Trieste”, con i grandi “Sandro Ciotti, Enrico Ameri, Sandro Bortoluzzi, ecc., e la sera la “Domenica Sportiva”, condotta da “Maurizio Barendson” e si vedevano solo alcune foto delle partite di seria A, sempre in bianco e nero, per noi era come toccare il cielo con un dito. Poi, dopo, venne “90’ minuto” con il grande “Paolo Valenti”.
Le nostre partite si svolgevano in una strada del quartiere, non c’erano le attrezzature di oggi, non c’erano i campi da gioco, strada che era leggermente in discesa, quattro pietre a delimitare la porta, la lunghezza era a secondo dei cazzotti che fra di noi ci davamo. La divisa ognuno cercava di portarla uguale ai compagni, io mi ero comprato pantaloncini e maglietta nera, come il mio idolo Dino sarti. Ah che bei tempi. Quel “calcio” era vero, fatto di sola passione e non c’erano tutti gli interessi di oggi, non si andava accompagnati dai Papà, ma da soli, che c’era vento o sole si giocava fino allo sfinimento: partite che duravano ore intere compresa la pausa dell’acqua. Poi, passai di “categoria”, per così dire, e iniziai a giocare nei tornei delle “parrocchie”, prima però c’era la messa, se no non giocavi, e poi il prete ci benediva tutti e si iniziava la partita.
Spesso si incontravano squadre di altri quartieri e di frazioni lì vicino, sempre con le parrocchie, e lì, durante una partita accesissima, venni visto da un osservatore del Catania Calcio, che mi prese e mi portò nella squadra amata della mia città. Ero discretamente bravo e riuscì a giocare nei piccoli pulcini e poi nella primavera della mia amata squadra “Rossoazzurra”, dove li c’era l’altro mio idolo “Rino Rado”, grande portiere che riusciva a incantarmi con le sue parate. Il mio allenatore mi diceva: “per fare il portiere devi essere un po’ matto, devi avere coraggio e niente paura, devi saper stare solo”.
Aveva ragione! Il portiere è un tipo “strano”, quasi sempre silenzioso e parla poco con i suoi compagni, si allena in disparte e i genitori sono costretti a seguirlo non potendo stare con gli altri, persino la divisa è diversa da tutti i suoi compagni di squadra. Urla alla sua difesa, ma parla da solo con i suoi “pali”, non ha paura ad uscire tra i piedi, è l’unico che può toccare la palla con le mani e sa di essere l’ultimo baluardo, l’ultima difesa della squadra; e quando si trova da solo a tu per tu, con l’attaccante che gli va incontro, lì deve decidere in un secondo cosa fare, se uscire o stare tra i pali. E’ quello dimenticato durante la partita, salvo ricevere fischi o urla se si fa segnare o magari applausi per la “parata” stupenda che ha fatto salvando il risultato. Insomma di lui si parla sia nel bene che nel male, salvo poi dimenticarselo fino al prossimo incontro.
Salto nel tempo e veniamo ai giorni nostri a colori: Domenica scorsa, come sempre, sono andato a vedere una partita di Campionato dei Pulcini. Premetto che non citerò le squadre ne i nomi dei giocatori. Inizio partita e dopo due minuti la squadra ospite con una bella triangolazione libera l’attaccante che con un tiro appena sotto la traversa insacca. Nino (nome di fantasia) il portiere, quasi non la vede la palla e rimane immobile sulla linea. Disperazione del “Mister” che lo richiama a una attenzione massima. Non passano cinque minuti che la squadra avversaria, onestamente più forte, raddoppia su una punizione da fuori area. Nino aveva messo bene la barriera a copertura del palo sinistro, ma il tiro passa sopra la testa dei compagni e va a finire sul “sette”; Nino si alza con uno scatto felino, si invola con tutta la sua grazia verso quell’angolino della porta dove sta per arrivare il pallone, riesce quasi con le punte delle dita a toccarla, ma niente, il tiro è troppo forte e la palla va in rete. Dagli spalti sento i commenti: <<….imprendibile….., ma che è scarso stò portiere…>>, il Papà impreca contro la mancata parata del figlio e si mette le mani sui capelli come se fosse la finale di “Champion League”. Io vedo gli occhi di Nino che dicono tutto, il suo volto teso, i compagni neanche lo guardano nè inveiscono contro di lui. E’ disperato perché l’ha toccata ma non è riuscito a prenderla o deviarla. Si sente il mondo crollare, la sua squadra sta perdendo per colpa sua, si sente responsabile e le mani incominciano a diventare molli. Secondo tempo il Mister lo lascia in panchina ed entra il secondo portiere; la squadra di casa riesce ad agguantare il pareggio, e lo tiene per tutto il tempo. Nino è li seduto che guarda e dentro di se pensa che forse non era la sua giornata.
Nell’ultima frazione del terzo tempo, il Mister lo fa rientrare. Mancano poco più di sette minuti e il risultato tiene ancora sul pareggio e ambedue le squadre cercano di segnare per la vittoria. A circa un minuto dalla fine, l’arbitro decreta un rigore per la squadra avversaria. Dagli spalti, mugugni, proteste, imprecazioni e mano sui capelli del Papà di Nino. Lui si gira e guarda la porta, va un po avanti e quasi per scaramanzia fa la traccia sulla linea, lo vedo teso con la voglia di riscattarsi, di non far perdere la sua squadra; qualcuno ride persino in tribuna: <<….tanto non lo para….>>. E' consapevole che parare un rigore è impresa difficile e fortunosa. Il Mister non dice nulla, lo lascia lì alla sua “solitudine”, persino i compagni che dovrebbero rincuorarlo lo lasciano da solo. E’ lui da solo affronta l’attaccante avversario. Palla nel dischetto, fischio dell’arbitro, tiro. Sapete cosa è un angelo che vola? E’ un ragazzo di circa 10 anni che si alza circa un metro da terra verso destra, si distende con il braccio sinistro, stende la mano e con coraggio e forza devia fuori dalla porta la palla che stava per entrare in rete a mezza altezza. Nino ricade per terra. Non sente gli applausi, le urla di gioia dei compagni, del Mister, del Papà e di tutti i tifosi, non sente i “bravo Purty” dei genitori avversari e gli applausi di tutta la gradinata. No non li sente, perchè dentro di lui il riscatto ha deviato non sola la palla, ma tutta la sua voglia di dimostrare che lui ha combattuto per la squadra.
Finisce la partita in parità, con la “prodezza” finale di Nino, che salva la partita e risultato, oltre che il suo riscatto. La squadra va sotto le gradinate a ricevere gli applausi dei genitori, ma lui lentamente, sempre da solo, se ne ritorna negli spogliatoi dove passando il mister gli fa un “cinque”. Per tutti il vero eroe è stato il compagno che ha segnato due gol, vero lui ha parato il rigore ma i gol presi, per tutti, è colpa sua. Io aspetto apposta che lui esca, e quando lo vedo arrivare assieme ai suoi compagni, lo vedo un po più felice dentro di se. Mi avvicino, gli tendo la mano e con una punta di invidia gli dico: <<Sei stato il migliore perché hai avuto coraggio ad affrontare da solo il rigore. Continua così. Le partite si vincono e si perdono insieme, mai da soli, ma tu portiere conserva sempre questo coraggio, perché sarai sempre solo in quella porta>>. Lui mi guardò come può guardare un ragazzino di 10 anni, con gli occhi fra il sorpreso è un po’ di timidezza allo stesso momento. Il Papà mi ringraziò. E mentre andavano via senti dire da Nino: <<Andiamo Papà che devo finire i compiti>>. Che ragazzo!