“Con la chiusura del contrato tra Nike e Juventus ho finito il mio percorso alla J Stars e con il mondo bianconero. Mi sono reso conto, dagli atteggiamenti più che dalle parole, che a volte è meglio separarsi”.
Marco Isnardi era il manager di Juventus Soccer School. E adesso?
“Adesso mi guardo intorno per valutare con calma il mio percorso. Dopo 11 anni vissuti nello stesso progetto, è giusto ponderare le scelte. Intanto ho accettato di dare una mano al Barracuda: in questo periodo in cui sono tranquillo è il mio divertimento, il mio passatempo. Ma il mio lavoro, sia nel calcio che nel marketing sportivo, è un altro”.
Quale?
“Anche in sede Juventus, la J Stars intesa come società sportiva era una piccola parte del mio impegno, nella quotidianità gestivo camp, corsi di formazione e sinergie, negli ultimi tre anni ho curato lo sviluppo estero del brand Soccer School, aprendo le Academy a Dubai, Singapore, Russia, Belgio… Diciamo che adesso sto valutando alcune opportunità in questo ambito”.
Intanto il Barracuda, dove sei direttore generale. Perché proprio il Barracuda?
“Con il Barracuda ho un debito morale, a 19 anni mi avevano fortemente voluto, quando ero al Pertusa, e dopo una parentesi al Beinasco Borgaretto nell’anno della fusione nel Beiborg, mi hanno proposto di fare il responsabile della Scuola calcio quando avevo 23-24 anni. Allora il Barracuda si chiamava ancora Sporting Torino ed era l’unico punto Juve del torinese, erano gli anni all’inizio del 2000. Ho avuto come allenatori alle prime esperienze Dario Migliaccio e Davide Bellotto…”
Quindi è dal Barracuda che sei passato alla J Stars. Raccontaci la tua esperienza in bianconero.
“Quando è nato il progetto Soccer School mi hanno chiamato come consulente, e poi assunto in Juventus Merchandising, l’azienda di Nike che tra l’altro si occupava della J Stars. Dal 2010 mi sono occupato nello specifico dello sviluppo di Juventus Soccer School, quindi non solo la J Stars ma Academy, University, Camp eccetera. Siamo arrivati ad avere 1170 iscritti…”
Un progetto vincente. Perché chiuderlo, allora?
“Un progetto vincente di sicuro. Fuori dal campo prima che in campo. Mi spiego: con i ’94 e i ’97 abbiamo vinto nello stesso anno il titolo regionale e il premio disciplina, un’utopia realizzata. Abbiamo anche vinto il titolo nazionale dopo tanti anni che mancava in Piemonte. È un delitto sportivo chiudere una società del genere. Ma ripeto, oltre i risultati la J Stars era una società portatrice di cultura sportiva, un concetto trasferito anche nelle società affiliate in giro per il mondo e riconosciuto da tutto il mondo sportivo italiano”.
Un problema economico?
“Non penso, anche il discorso finanziario lascia il tempo che trova, tutti i Settori giovanili importanti sono fonte di costo, a meno di sponsorizzazioni importanti e premi di preparazione. Nike e Juventus hanno fatto un investimento, non per avere degli utili immediati, ma per diventare un punto di riferimento in Italia e all’estero tramite le Academy e i Camp. Senza dimenticare la formazione di allenatori e preparatori. Tra gli altri, sono cresciuti in J Stars il preparatore atletico Allievi nazionali Ivan Teoli, o quello dei Giovanissimi nazionali Alessandro Giacosa. E allenatori come Malfatti, Ramello, Calcia, Saporito…”
Torna la domanda di prima: perché chiudere, allora?
“Strategie. L’Italia è strana. La Juve ha ripreso in gestione totale tutti i progetti e ha deciso cosa farne, infatti il marchio è andato non a una società esterna, ma di famiglia. Probabilmente, se non sono più lì, è perché ho visioni differenti, non sono io che posso dare spiegazioni. Ma la J Stars rimarrà nella storia del calcio dilettantistico italiano, per quello che ha fatto e per le persone che ci sono passate. Il professor Trucchi, maestro di calcio e di vita, o il professor Vercelli. Marco Marchi e anche Renato Carrain, che ha contributo a rendere vincente il Settore giovanile. Amici come Davide Bellotto, ora posso dire con orgoglio che l’ho convinto io a fare il direttore sportivo, quando lui voleva ancora allenare, e adesso è al Chieri, la società più strutturata dopo Juve e Toro. Oppure Omar Cerutti, diventato direttore tecnico all’Alpignano. È vero che alla J Stars arrivavano persone in gamba, ma per tutte loro la J Stars è stata formativa. Non era solo una società sportiva, ma un mondo a sé stante, qualcosa di importante e forse irripetibile”.
A proposito, cosa ne pensi delle società che stanno provando a renderla ripetibile, o quantomeno a raccoglierne l’eredità: la Sisport Juventus, ufficializzata sul sito della casa madre, e la Reset Torino, di cui per ora si sa molto meno.
“Un’eredità importante è nei piccoli nuclei che stanno nascendo dall’esperienza J Stars ripartendo dalla base, d’altro canto anche la stessa J Stars, nel suo primo anno, aveva solo i Piccoli amici. Al Barracuda quel focolare c’è, per questo ho deciso di aiutare il gruppo di amici che lì si sono ritrovati, un gruppo che si riconosce nei valori J Stars, ma non si riconosce in altri progetti nati su quella scia. È per questo che al Barracuda c’è Andrea Bider come responsabile della Scuola calcio, era il coordinatore di tutti gli impianti sportivi della J Stars. E Stella Ancona, che era responsabile dell’area fisico-motoria. E Luca Barchi, coordinatore tecnico di Esordienti e Giovanissimi, e allenatori come Andrea Canavese, Michele Calzolaio, Davide De Michelis, tutti ragazzi con esperienze nei camp e nelle Academy Juve, oltre che da allenatori nella Scuola calcio J Stars”.
Beh, Marco, complimenti per il dribbling stretto con cui hai eluso la domanda su Sisport e Reset per parlare del Barracuda… E allora rimango in argomento e faccio un’altra domanda cattiva: a parte il tuo passato al Barracuda, non avete scelto la società – senza offesa – più in forma del panorama torinese…
“Se vuoi dimostrare di essere bravo, è facile farlo in una struttura già organizzata e vincente. E invece, in una realtà tutta da costruire, ti arrotoli le maniche, lavori, sudi e ci provi. Con il presidente Leonardo Tortorelli abbiamo un progetto a medio termine, ci siamo dati tre anni per fare qualcosa di importante. Questa è una società con una storia, che ha già dimostrato di poter fare bene. È un impianto sportivo tra i migliori della città di Torino, uno dei pochi con i campi al coperto per i piccolini, in una zona popolata e logisticamente comoda. Insomma, le condizioni per far bene ci sono”.
Ne volete fare una piccola J Stars.
“Il mio ruolo è direttore generale, ho carta bianca ma lavorerò dietro le quinte. In prima linea i ragazzi arrivati dalla J Stars insieme al direttore sportivo a Lorenzo Verduci, che gestiva l’Accademy Juve alla Bruinese e quindi ha la nostra stessa filosofia. Noi, prima dell’aspetto puramente tecnico, vogliamo formare le persone, a partire dal giusto approccio con lo staff, le famiglie e le altre società. E vogliamo mettere il bambino al centro del progetto: ogni bambino è diverso dagli altri, bisogna capirlo e stimolarlo nel modo giusto. Solo dopo puoi insegnare calcio con profitto. Il bambino e le bambine, visto che vogliamo aprire le porte al calcio femminile, questa è una novità. Quindi la risposta è sì, vogliamo fare del Barracuda una piccola J Stars. Ma senza imporre nulla a nessuno: non abbiamo rivoluzionato lo staff tecnico, ma ci siamo integrati con chi c’era già. Così non vogliamo imporre il nostro pensiero, ma condividerlo, e speriamo che i fatti ci diano ragione”.