8ª PUNTATA / L'ERBA DEL VICINO - Un viaggio iniziato dal 6-1 rifilato dal Bodo Glimt alla Roma. Football for all è il motto che la Federazione di calcio norvegese, che "non sembra tanto finalizzata alla produzione di talenti o allo sviluppo interno del proprio sistema, quanto quello di voler offrire un servizio che possa essere coinvolgente e allo stesso tempo utile"
Milano, quasi le sei di sera. Lungo i Navigli, trovo fortunosamente un pub disposto a farmi vedere in televisione Bodø/Glimt-Roma. Dalla faccia basita del titolare del locale, capisco che la neonata Conference Europa League non ha ancora fatto breccia nel cuore di tutti i tifosi. Eppure, con fare disinvolto ed un accento indocinese piuttosto marcato, l’uomo asseconda la mia richiesta. “Roma? Roma contro? Ah, Bodo Glimt? Pinguini!” è il tenore dei precoci sfottò che comincia riservarmi sbeffeggiante, mentre nello schermo migliore, quello più grande e con l’audio attivo, capricciosamente cerca la contemporanea partita della Lazio. Segni del destino? Non credo, ma ordino una birra. L’unica cosa che so della Norvegia fino a quel momento è il freddo, che spero di ritrovare nel bicchiere in arrivo.
Football for all, è il motto che la Federazione di calcio norvegese ha scelto per cavalcare l’onda di entusiasmo portata dai mondiali di Francia ’98, quando la squadra scandinava riuscì ad approdare agli ottavi di finale. Per la seconda volta, a sessant’anni esatti dalla prima, la Norvegia esce agli ottavi di una competizione che, al netto di quelle due partecipazioni, ha frequentato solamente un’altra volta, nel ’94 - a dimostrazione che gli anni Novanta siano stati il periodo di massima del calcio norvegese. Insomma, una piccola, dal punto di vista tanto sportivo quanto in termini di popolazione, con poco più di cinque milioni di abitanti. Eppure, di questi pochi – ma ricchi – norvegesi, almeno 325 mila giocano a calcio, giusto per sottolineare l’importanza di questo sport ad Oslo e dintorni. E questo non stupisce, soprattutto se si iniziano a contare i grandi nomi di calciatori norvegesi che bazzicano ormai stabilmente nei top club europei. Haaland, Ødegaard, King, Berge, Ajer, Thorsby, sono solo alcuni dei norvegesi più importanti del panorama calcistico europeo, con Haaland a fare ovviamente da carro trainante. Ma il primo fu proprio Ødegaard, che appena quindicenne venne acquistato dal Real Madrid, dopo essere cresciuto nelle giovanili dello Strømsgodset ed aver scomodato i produttori di Football Manager per essere inserito nel database del gioco anche se non ancora sedicenne.
Malgrado i grandi campioni di cui conosciamo i nomi, quello che trascina veramente il tifo e – quindi – la formazione di una cultura calcistica è il calcio amatoriale. Non per caso, questo sport è davvero collettivizzante, al netto anche di una fetta di tifosi norvegesi che guarda forse più volentieri una partita di Premier League inglese piuttosto che una di Eliteserien. Una dimostrazione di quanto conti il calcio amatoriale in Norvegia è data anche dalle infrastrutture, non ultimo un caso che era diventato virale qualche tempo fa di uno degli stadi considerati “più belli del mondo”. Ad Henningsvær, infatti, incastrato tra le rocce di un piccolo arcipelago di pescatori, c’è un minuscolo impianto che farebbe invidia alla stragrande maggioranza degli stadi italiani, ed è ovviamene dedicato alle partite delle squadre del posto. Note di costume e consigli turistici a parte, abbiamo appena accennato di un concetto di cultura sportiva che, necessariamente, deve nascere dal basso – quantomeno parlando di età. E, sulla falsariga del Football for All, quindi di un motto inclusivo, ogni anno si disputa in Norvegia la più grande competizione di calcio giovanile del mondo.
Con un picco di 2199 squadre iscritte nel 2016, la Norway’s Cup è senz’altro uno degli appuntamenti a cui ogni ragazzo o ragazza che gioca a pallone da quelle parti vorrebbe partecipare. Se non altro, visto il coinvolgimento di squadre da ogni parte d’Europa: fondata dal Bækkelagets Sportsklub nel 1972, la competizione ha coinvolto giovani da oltre 120 nazioni e costretto a sforzi organizzativi non indifferenti. Ogni anno, infatti, sono 60 mila le ore che i quasi 3 mila volontari dedicano al club organizzatore, affinché la Norway’s Cup si possa confermare un successo. Insomma, la prerogativa del calcio norvegese non sembra tanto finalizzata alla produzione di talenti o allo sviluppo interno del proprio sistema, quanto quello di voler offrire un servizio che possa essere coinvolgente e allo stesso tempo utile. Non per caso, i ragazzi che arrivano come ospiti ad Oslo per la Norway’s Cup, avranno accesso libero a tutti i musei della città, mentre altri ragazzi, che ad Oslo mai avrebbero pensato di andare nella vita, grazie ai finanziamenti ai club in zone di difficoltà, avranno la possibilità di uscire dai propri confini per vivere questa esperienza.
E se questo è il biglietto da visita che il calcio norvegese presenta all’esterno, quello che succede all’interno è ancora tutto da scoprire. Una componente importante nel calcio giovanile norvegese è rappresentata dalla Tine. Infatti, dal 1997, la più grande cooperativa di prodotti lattiero caseari della nazione collabora a stretto contatto con la federazione, portando avanti il progetto chiamato Tine Football School. Da allora, almeno 1,5 milioni di bambini sono passati le accademie della Tine sparse per tutto il paese. Sono 430 i centri di allenamento e almeno 10 mila gli istruttori coinvolti, all’interno di un programma che coinvolge circa 70 mila bambini. Numeri impressionanti anche per una grande azienda da 20 miliardi all’anno, per di più non certo specializzata nel settore. A spanne, potrebbe ricordare il sistema che Red Bull ha portato nel mondo del calcio, per cui ogni club che è entrato nella sua orbita ha apposto il marchio aziendale al nome societario. In questo caso, invece che di uno o più club, si tratta di un vero e proprio programma sportivo nazionale.
Sono quasi le otto e furbescamente penso che andare in bagno, pagare il conto ed uscire dal locale sia la soluzione migliore per evitare ancora dieci minuti di infame agonia. Il risultato è compromesso, di gol ne abbiamo presi quattro e fatto appena uno, come mi ricorda il solito barista. “Mourinho non è più quello del Triplete” ha suggerito per tutta la serata, interrompendo saltuariamente la voce dei cronisti Sky che, dalla saletta accanto, decantavano le gesta di Lazio-Marsiglia. Chiudo la porta del bagno, controllo di avere il portafogli e mi dirigo verso l’uscita, senza voltarmi a prestare un ultimo sguardo verso la disfatta della mia squadra del cuore. Solo gli sbuffi sghignazzanti dei miei amici, che già mi aspettano fuori dal locale, mi fanno scoprire ciò che, forse, avrei scoperto qualche minuto più tardi. Ecco, per colpa di quel bruciante 6 a 1, e di uno scottante 2 a 2 nella gara di ritorno, mi sono iniziato a chiedere cosa ci fosse – oltre al freddo e al buio – nell’affascinante Norvegia.