Non sono tantissime le squadre rimaste rimaste a punteggio pieno: tra queste, un po' a sorpresa, ci sono i Giovanissimi fascia B del Cit Turin, allenati da Luca Garelli, alla sua prima stagione sulla panchina della società rossoverde.
Luca, tra tutte le squadre delle giovanili del Cit Turin, la tua è quella che sta andando meglio.
“Sì, sono contento, stiamo andando bene anche se obbiettivamente il girone non è fenomenale. Nella prima fase non avevano tutti i ragazzi a disposizione, adesso ho trovato la quadratura giusta: i ragazzi sono tutti abbastanza bravi, a parte 3 o 4 che sono su un gradino più alto, gli altri sono complementari, è difficile scegliere la formazione se sono al completo”.
Un bel problema, per un allenatore, avere l'imbarazzo della scelta.
“Sì, infatti sono messo bene. Ma a differenza di altri gruppi che ho allenato, questi sono troppo bravi ragazzi, non hanno ancora quella cattiveria agonistica senza la quale è impossibile primeggiare”.
È una questione caratteriale, o di formazione?
“Bisogna lavorarci sopra. I ragazzi vedono il calcio come un divertimento fine a sé stesso, uno tra i tanti divertimenti facilmente a disposizione, mentre una volta era diverso, c'era solo il calcio. Devo fargli capire che il calcio è sì un bel gioco, ma va sentito, vissuto, non solo come momento ludico, ma conta anche il risultato. Non vuol dire che devi vincere a tutti i costi, ma crederci, provarci fino all'ultimo. Con questo salto di mentalità, qualcuno può diventare un buon giocatore, perché le caratteristiche tecniche ci sono”.
Nella prima parte avete patito un po' anche dal punto di vista fisico.
“Siamo giovani, la maggior parte dei ragazzi è del secondo semestre, a questa età conta ancora e si soffre un po'. Ma con l'allenamento stiamo migliorando, soprattutto nella forza e nella coordinazione, ovvero gli aspetti su cui a questa età puoi e devi lavorare”.
Con chi ve la giocate, per vincere il girone?
“Sicuramente con la Cbs (prima a punteggio pieno, ndr). Abbiamo lo scontro diretto alla seconda giornata dopo la ripresa, lì vedremo per davvero qual è il nostro livello”.
Facciamo un passo indietro, alla tua lunga carriera da calciatore.
“Sono cuneese, di Sommariva Bosco, classe '65. Già a 16 anni ho esordito nella Sommarivese in Promozione, quando c'era solo la Promozione prima dell'Interregionale, tre gironi in tutto il Piemonte. Poi sono andato al Bra, in Interregionale, da lì ho cambiato una decina di società, sempre tra l'attuale serie D e l'Eccellenza: Saviglianese, Cheraschese, un'esperienza con la Sandretto Collegno che abbiamo portato dalla Prima categoria all'Eccellenza, poi Chivasso, Giaveno. Ho smesso di giocare a 41 anni, in Eccellenza nella Cheraschese, poi ho fatto ancora un anno all'Ardor San Francesco, per divertirmi”.
Dal campo alla panchina.
“Ho fatto l'allenatore, in Eccellenza e Promozione, ma non avevo più voglia. Allenare in quelle categorie è troppo impegnativo, toglievo tempo a tutto il resto, senza trovare la professionalità di una volta. Quando giocavo io, in Promozione eri professionale, non professionista, oggi non è più così. L'altro aspetto importante è che per allenare occorreva un curriculum anche di campo, oggi basta prendere un patentino e avere lo sponsor giusto...”
Per tutti questi motivi sei passato alle giovanili?
“Per un anno sono stato fermo, poi ho allenato gli Allievi al Don Bosco Nichelino, la Juniores regionale a Cherasco e Nizza, i Giovanissimi al Vianney, e per una stagione ho fatto il preparatore atletico a Cirié”.
Infine il Cit Turin. Come ci sei arrivato?
“Tramite Lucio Stella: mi ha chiesto di allenare in Prima categoria all'Antico Borgoretto, la società di cui è presidente, ma ho rifiutato perché era troppo impegnativo. Allora mi ha fatto chiamare da Frau, visto che sono amici: mi sono subito trovato bene, ed eccomi qui”.
Come ti trovi?
“L'unico problema è che c'è poco spazio per allenarsi, un quarto di campo non ti permette di provare schemi, tattica, palle inattive. Questo non vuol dire che il Cit Turin non sia una bella società, piena di impegni, di spessore anche sociale, si respira un clima positivo, non tante società sono in grado di organizzare gli eventi, i tornei e anche le feste che fanno lì”.
Ma non fai più avanti e indietro dal cuneese...
“No, no, da anni vivo e lavoro a Torino, solo nel week end torno nel cuneese. Per troppi anni ho fatto troppi chilometri, ma c'erano rimborsi non indifferenti che ti permettevano di muoverti. Adesso non ci sono più, a parte qualche società che fa eccezione. Io penso che il vero calcio, con giocatori che duravano dieci-quindici anni e alla fine si conoscevano tutti, sia finito nel 2000”.
Addirittura?
“Oggi i fuoriquota giocano solo perché c'è l'obbligo di farli giocare, infatti sono rare le conferme di questi ragazzi in categoria. Questo ha distrutto calcio dilettantistico: tre fuoriquota per squadra, meno spazio per chi sa davvero giocare a calcio, il livello si è abbassato. È controproducente anche per i giovani bravi. Io giocavo a 16 anni in Promozione perché ci stavo in categoria, non perché c'era l'obbligo, e giocavo con ex professionisti, cosa impensabile oggi. È crollato il livello tecnico”.
Tutta colpa dei fuoriquota?
“No, certo, il problema principale è che mancano i soldi, senza rimborsi è difficile prendere i giocatori forti. Non do un giudizio di valore, non dico che sia giusto o sbagliato dare o non dare rimborsi ai giocatori, analizzo una situazione di fatto: la qualità si è abbassata. Per di più, i pochi soldi che ci sono vengono spesi al contrario, ora paghi tantissimo non il ragazzino, ma le società che te lo mandano in prestito”.
Secondo te si è abbassato anche il livello delle giovanili?
“Beh, una volta alle giovanili non si dava il credito di oggi... Comunque una volta c'era solo il calcio, in cortile giocavano tutti a pallone, i campetti erano sempre pieni di gente. Oggi non ci sono più i campetti e gli oratori, i bambini preferiscono la playstation, ci sono tanti altri sport e tanti altri interessi, alla fine i Settori giovanili fanno fatica ad avere giocatori e a costruire le squadre. Di nuovo, non do giudizi di valore, descrivo una situazione di fatto: meno giocatori, meno giocatori bravi, è logico”.
Hai esperienza e idee, hai mai pensato a un futuro da direttore sportivo o direttore tecnico?
“Ci ho pensato, mi piacerebbe, ma molto è più difficile che fare l'allenatore, se fatto bene. Io sono amico di Massimo Bava, abbiamo giocato insieme a Bra: va a vedersi più di 300 partite all'anno, sono tempo e spese... Va bene al Toro, ma altrove il discorso è: ne vale la pena? Se è un lavoro sì, come hobby è difficile”.
Qualche allenatori che stimi a livello giovanile?
“Vorrei rispondere, ma non conosco nessuno... Vediamo, tra le squadre che ho visto ultimamente, mi ha molto colpito il Chieri Allievi, una bella squadra che giocava bene, con idee...”
Giorgio Brighenti?
“Sì, lui. Poi, non fa le giovanili, ma sta facendo bene Alessandro Garau (l'allenatore del Cit Turin di Promozione, ndr): ho visto suoi allenamenti, ha delle soluzioni interessanti. Le partitelle sono importanti, per capire gli allenatori: tutti i giocatori sanno cosa fare, due tocchi, cambi di gioco, insomma le cose fatte per bene”.
Passiamo ai giocatori. Tra quelli con cui hai giocato quest'anno c'è qualcuno che ti ha colpito?
“Noi ne abbiamo qualcuno di prospettiva: penso a Monopoli, molto bravo tecnicamente anche Moussi. A livello individuale mi ha colpito il Barcanova Salus, molto bravi i due difensori centrali e il centravanti. Ma non chiedermi i nomi...”