Torino, 24/06/2018
"Non si tratta di una bocciatura, suo figlio è valido, molto probabilmente ci stiamo sbagliando, ma non riusciamo a garantirgli che possa giocare con continuità, dovevamo fare delle scelte. Vedrà che sicuramente troverà posto in un'altra squadra.". Quanti di voi in questi giorni si sono sentiti dire una frase come questa, o che suona allo stesso modo? E' la dura realtà che molti tredicenni e le relative famiglie devono affrontare in questa fase dello sviluppo calcistico del proprio figlio, quando si giunge al termine del lungo percorso della scuola calcio e si deve passare al nuovo ciclo del Calcio Giovanile. La parola d'ordine per tutte, o quasi tutte le società, è una sola: "Vincere a tutti i costi". Nulla altro importa, nè l'aspetto umano, nè quello affettivo, solo forse qualche forma di clientelismo.
Ebbene sì, se il proprio figlio ha giocato da sempre, o per tanti anni sempre per la stessa società, se ha seguito un percorso di crescita che lo ha portato sino alla fine della scuola calcio, se ha creato un legame affettivo con i suoi compagni, se si è contribuito per anni, è brutto dirlo ma in questo mondo è così, alle casse della società, alla fine dei conti, quando si tirano le somme, nulla di tutto questo ha più valore. Quello che conta sono le abilità tecnico tattiche del ragazzo dove uno o più soggetti si ergono ad arbitri, esperti selezionatori, e decidono chi deve stare dentro e chi fuori. Se per anni si sono tenute delle rose ampie, più sono e meglio è, dove non importa se vali o meno, ma quello che importa è incassare la quota annua per il sostentamento della società, alla fine, all'anno successivo devono approdare al massimo in venti. Queste sono le regole, questa è l'amara realtà. Se si è fortunati quindi, se si è riusciti alcune volte in poche ore, a dimostrare qualcosa, si rientra nel gruppo diversamente si è fuori. Cosa ancora più crudele se si ricorre a risorse esterne per completare la rosa, perchè le proprie risorse non sono considerate all'altezza del proprio prestigio o di quello che si vuole diventare, all'altezza di dover affrontare l'èlite di un campionato regionale regolato da regole che favoriscono sempre di più le società più blasonate del momento. Sino al giorno prima sì, si era all'altezza di poter giocare per la propria società e portare avanti la baracca, il giorno dopo quando tutto è finito nò, non si va più bene. Accade così che società, che arrivano alla fine del'annata Esordienti anche con 30/40 giocatori, si trovano costrette a dover dimezzare il proprio organico.
Anche se ce lo si aspettava, e a maggior ragione se no, in ogni caso si tratta di un momento difficile sia per il ragazzino che per i genitori, dove diverse e delle più svariate sono le reazioni. C'è chi va via sbattendo la porta, c'è chi perde le staffe, alza la voce ed insulta tutti, c'è chi coscientemente cerca di accettare lo stato di fatto, c'è chi rimane amareggiato dopo magari che da generazioni si è sempre giocato nella società del proprio paese o del proprio quartiere. In ogni caso la delusione è tanta, ma lo è anche per chi rimane, per quel ragazzino che per anni aveva giocato al fianco del suo amico del cuore. Ma il cuore ormai spesse volte non fa più parte di questo sport, dove sempre di più si guarda agli interessi ed al business. Perchè arrivare a tutto questo? Sicuramente in certi casi la colpa è anche dei genitori che pensano che il proprio figlio sia un campione e quindi deve giocare per forza in certe società, ma sicuramente le società stesse e tutto il contesto calcistico hanno le loro colpe. Colpe che hanno anche un risvolto sociale, uno sport di squadra che dovrebbe creare aggregazione, in questo caso rischia di disgregare, allontanando dallo sport ragazzi in una età critica, dove una delusione, il venir meno di certi valori, può dare origine ad una svolta negativa, a delle scelte che possano portare a strade e compagnie completamente diverse che, nella società in cui viviamo, in poco tempo si possono tradurre in esperienze negative.
Certamente neanche per chi decide è un compito facile, se si ha un minimo di coscienza, ci si trova a dover fare delle scelte difficili e dolorose. Ma cosa accade ad un ragazzino di 13 anni quando si trova crudelmente sbattuta in faccia una porta? Cosa penserà il giorno dopo, quando alle 17:30 i suoi ex compagni "fortunati" vanno in campo ad allenarsi e lui invece è alla ricerca di una nuova squadra se va bene, oppure a casa a giocare alla Play o peggio per strada alla ricerca di non si sa che cosa? Penserà forse perchè lui si ed io no? Chi ha la forza di reagire cercherà di trovarla e cercherà di darsi da fare alla ricerca di quella squadra che sicuramente lo starà aspettando a braccia aperte (come ti avevano detto). Altri invece no, avranno invece bisogno del supporto del proprio genitore, che dall'alto della sua esperienza, deve mettere da parte il proprio orgoglio e cercare il bene del proprio figlio, accettare con umiltà quanto accaduto. Non ci si deve accanire nel pensare che il proprio figlio sia un fenomeno e che non si deve abbassare ad accettare di giocare in certe squadre, non ci si deve accanire nel cercare a tutti i costi di dover partecipare ad un campionato regionale, anche al costo di dover percorrere chilometri tutti i giorni. Occorre comprendere quale sia il giusto contesto e la giusta dimensione per il proprio figlio senza però mai fargli capire che bisogna accontentarsi. A questa età tutti devono avere e coltivare le proprie aspirazioni, le proprie passioni. Bisogna cogliere questo momento per consigliare e sostenere il proprio figlio, spiegare che nella vita tante saranno le difficoltà che si dovranno affrontare, che bisognerà sempre reagire e farne tesoro. Aiuteranno a crescere, fare esperienza e diventare sempre più forti. Non disperare quindi, come dice il famoso proverbio: chiusa una porta, si apre un portone. Un In bocca al lupo a tutti !!!!
La Redazione