Rajan (nella foto), è un bambino di poco più di 10 anni, l’ho conosciuto Giovedì pomeriggio scorso a Volpiano. Ero andato a vedere una partita della categoria Giovanile e mentre stavo per entrare, antistante al campo della società del Volpiano calcio c’è uno spazio verde rettangolare delimitato tutto intorno da una rete con l’ingresso da un cancello. Mi colpì subito vedere quel papà solitario che allenava il suo bambino, mentre tutto intorno c’era un via vai di macchine, giocatori, borse, allenatori ecc., da soli al fondo di questo prato rettangolare. Vedevo il papà che lanciava la palla al suo piccolo, dicendogli come toccarla, come fermarla, i movimenti e lo scatto.
Non resisto. Apro il cancello ed entro avvicinandomi piano verso di loro. Rajan sbaglia a prendere più delle volte il pallone, lo “cicca”, lo stop è da migliorare, l’infinita pazienza del papà che gli dice come fare con la palla e soprattutto come usare i piedi, gli scatti che deve fare e come girarsi con il pallone, come prenderlo con la testa mimando le mosse e i gesti tecnici.
Sono arrivato vicino a loro. Li saluto e mi presento come giornalista di giocaacalcio, spiegando loro che vedere cose del genere sono ormai rare come diamanti. Il papà è originario di Casablanca, Marocco, persona gentile e pacata, pieno di pazienza per il proprio figlio che lo abbraccia continuamente e lo incita con parole calme senza urlarle. Mi spiega che aveva cercato di portarlo in una scuola calcio, ma a causa dei troppi allenamenti, la troppa pressione, gli orari non compatibili e soprattutto il costo esorbitante per lui, dopo qualche mese ha dovuto ritirarlo anche perché gli avevano fatto capire che con il “pallone e il calcio” Rajan, secondo loro, non era tanto “forte”. Insomma non avevano tempo, forse, da dedicare a un bambino che vuole divertirsi giocando al pallone, forse anche per qualcuno troppo “scarso”. E così, mi dice sempre il papà, ho deciso di allenarlo io venendo un paio di pomeriggi a settimana in questo prato cercando di insegnarli i movimenti ma soprattutto per farlo divertire. Bravo!
Rajan continua a guardarmi con quegli occhi limpidi e genuini come un bambino può fare, lo guardo e gli domando se lui è contento:
<<Il mio papà mi insegna come giocare e come prendere il pallone>>.
<<E che ruolo ti piacerebbe giocare?>> gli chiedo.
<<Ma, l’attaccante o in difesa. Non importa basta che gioco>> mi risponde con un sorriso mentre il papà lo accarezza amorevolmente con gli occhi.
<<Sai Rajan, sono venuto da te a vederti e parlare con il tuo papà perché anch’io quando ero piccolo come te giocavo con il mio papà>>
<<Ed era bravo il tuo papà?>> mi chiede.
<<Si. Era bravo e paziente come il tuo che passa il tempo con te a insegnarti a giocare al calcio>>
C’è ne fossero di papà di Rajan che il proprio tempo libero lo passino con il proprio bimbo a giocare al pallone, senza urlare, senza pressioni, senza pretese e non arrabbiandosi mai quando non sa prendere la palla. Lo ammiro quel papà, per la sua pacatezza e gentilezza, pazienza e voglia di stare con il proprio bambino. Mi confessa pure che, quando era ragazzo, giocava in una squadra giovanile di Casablanca e si vedeva per come toccava il pallone che ci sapeva fare. Mi ribadisce che ha dovuto portarlo via dalla scuola calcio dopo qualche mese, sia per orari e costi, ma anche perché ha dovuto subire una sorta di umiliazione per via che il suo Rajan, per l’età che ha, era troppo “indietro” con gli altri bambini. Lo capisco, so cosa vuol dire quando a un bambino gli si dice che il calcio non è cosa sua, a dispetto del divertimento che invece dovrebbe essere assicurato.
<<Senti Rajan, posso fare un articolo su di te?>> gli chiedo
Mi guarda spaurito non sa cosa vuol dire. Un bambino genuino e chiaro come l’acqua cristallina da una fonte di giovinezza che si potrebbe bere insieme ai suoi grandi e splendenti occhi, mi guarda impacciato farfugliando qualcosa. Non sa cosa dire, non è abituato che un signore lo avvicini e gli faccia una intervista. Gli altri bambini con le divise e borsoni che giocano nelle scuole calcio forse si sono abituati, ma lui che gioca e si allena in un anonimo prato con il suo papà tutto si può aspettare che un giornalista lo intervisti. Lo abbraccerei.
Il papà, sempre con tono pacato mi dice di si, che posso fare l’articolo. Così chiedo a Rajan di mettersi in posa per fargli la foto come ai veri giocatori.
Era ora di andare per me, dovevo vedere la partita che di li a poco stava per iniziare. Ringrazio il papà per il tempo dedicato e soprattutto ringrazio il piccolo Rajan che continua a farmi domande sul calcio e delle sue speranze di giocare in una vera squadra un giorno. Lo saluto stringendogli la mano e gli dico che lui è un bambino fortunato. Tanti bambini come lui non hanno un papà così bravo come il suo che lo “allena” e soprattutto si diverte con lui giocando al pallone, e che il suo futuro sarà sicuramente più felice di altri bambini anche se non giocherà in una vera squadra. Saluto il papà che mi ringrazia sorridendo affettuosamente verso il proprio bambino. Gli dico che mercoledì prossimo uscirà l’articolo sul portale del giornale, e lui molto gentilmente mi stringe la mano ringraziandomi.
Vado via con una punta di malinconia. Sarei rimasto lì a guardarli in quel prato dove ci sono solo loro due e nessun altro, dove un papà paziente con un pallone cerca di insegnare al proprio bambino il divertimento di giocare con un pallone.
Li lascio soli ad allenarsi in quel silenzio che da lontano è rotto dalle urla che salgono dalle tribune dello stadio dove nel frattempo è iniziata la partita. Entro dentro le tribune e mi siedo, ma le grida e il trambusto mi mette a disagio. E mentre vedo l’ala sinistra che si invola e con un preciso pallonetto scavalca il portiere e fa gol, urla e grida di gioia, mi manca quel silenzio di prima. Anche lì, in questo momento, nel prato silenzioso e senza spettatori Rajan ha fatto gol. Un gol mai visto prima, in nessun campo da calcio, da antologia, da incorniciare nelle bacheche dei papà che si divertono con il proprio figlio.
La Redazione (AM)