Lunedì, 25 Novembre 2024

Individual Soccer School - Gigi Casula: «Come diceva Claudio Garella, torniamo a insegnare ai ragazzi la parata»

INTERVISTA - Il responsabile dell’area portieri: «Piedi buoni e tattica sono importanti nel calcio di oggi, ma il portiere prima di tutto deve parare. Sono il più anziano all’ISS, lavoro qui da 13 anni con passione e umiltà: per la crescita dei ragazzi è determinante essere seguiti e corretti in modo esclusivo da un istruttore, ognuno ha un programma specifico e personalizzato in base all’età, al grado di preparazione, alla militanza nel calcio e al carattere».


Chi è Gigi Casula: raccontaci la tua storia nel calcio.
«È una lunga storia… Sono nato in provincia di Sassari, ma mi sono trasferito a Torino nei primi anni Settanta. Giocavo ala destra, poi in una partita di allenamento mancava il portiere, sono andato io tra i pali e non sono più uscito. Dopo la trafila nelle giovanili ho esordito appena maggiorenne in Eccellenza. Purtroppo, prima di trasferirmi in una società più importante, ho subito il distacco della retina, che mi ha costretto a smettere di giocare. Era il 1979, da lì ho iniziato la mia carriera da allenatore, che mi ha portato fino in C1 con il Piemonte Calcio a 5, che all’epoca era una società importantissima, e il Torino Calcio a 5. Nel frattempo, ho iniziato come preparatore dei portieri nelle scuole calcio, ma allenando 7/8 ragazzi contemporaneamente non riuscivo ad instaurare con loro un rapporto diretto, non era il mio mondo. Poi il mio vecchio amico Giordano Piras mi ha coinvolto nell’Individual Soccer School, ho iniziato come istruttore di tecnica individuale e nel corso degli anni ne sono diventato il responsabile dell’area portieri».

Cos’è, per te, l’Individual Soccer School?
«Innanzitutto, è un gruppo di amici. Un ambiente in cui si respira allo stesso tempo leggerezza e serietà, gioia e professionalità. Credo che questo sia il giusto mix che ci ha permesso di diventare la scuola di allenamento individuale migliore in Italia».

Da quando lavori con l’ISS?
«Sono il più anziano, sia di età che di militanza. Ormai sono tredici anni che lavoro con passione e umiltà, mettendomi ogni giorno a disposizione dei nostri ragazzi».

Qual è il tuo ruolo?
«Sono diventato, come detto, il responsabile e il coordinatore di tutte le attività riguardanti i portieri. Cerco di trasmettere ai colleghi più giovani il desiderio di essere sempre utile al bambino, con voglia, dedizione, passione e umiltà, giorno dopo giorno».

Quanto è importante l’ISS per la crescita di un portiere?
«Ho appurato negli anni che ISS è determinante per la crescita dei portieri, in quanto i nostri iscritti hanno il privilegio di essere seguiti e corretti in modo esclusivo da un istruttore, a differenza delle società di appartenenza, dove invece si allenano in gruppetti di varia natura. In questo modo i nostri istruttori riescono ad avere una comunicazione immediata e diretta con gli allievi. Bisogna fare in modo che parlino, che si sfoghino, che si confrontino… oltre che preparatori, siamo anche degli amici per loro».

Diamo i numeri: quanti istruttori siete, con quanti portieri lavorate, quali sono le fasce d’età.
«Mi riferisco solo al centro sportivo di Pianezza, in provincia di Torino, dove lavoro quotidianamente: il nostro staff è composto da 5 istruttori, tutti molto bravi e con importanti esperienze alle spalle. In questo momento i portieri iscritti ai percorsi ISS sono 38, abbiamo piccolissimi, adolescenti e anche adulti che vogliono arricchire il loro bagaglio tecnico».

Quali sono le linee guida del tuo lavoro? Non vogliamo svelare i tuoi segreti, ma esiste un metodo?
«Sì, esiste un metodo di lavoro, univoco per tutti gli istruttori, che ci ha dato finora ottimi risultati. Abbiamo cercato di racchiudere all’interno di questo metodo tutte o quasi le nostre esperienze passate, in modo da non lasciare nulla al caso. Senza entrare nei dettagli, la nostra attenzione è sempre rivolta al rapporto con l’allievo, fin dal primo allenamento conoscitivo: cerchiamo di scoprirlo sotto tutti i punti di vista, tecnici e non solo. Ogni nostro portiere ha una sua scheda, un vestito su misura, come facevano i sarti di una volta, un programma specifico e personalizzato in base all’età, al grado di preparazione, alla militanza nel calcio e al carattere».

Come ti poni verso l’idea, oggi di gran moda, che vuole i portieri preparatissimi tecnicamente, in modo da utilizzare i piedi in fase di costruzione dell’azione? C’è un modo per allenare questo aspetto?
«Io vado un po’ controcorrente, sono vecchio stampo. Il vero portiere al giorno d’oggi è una categoria in via di estinzione. Secondo me, il portiere prima di ogni cosa deve essere in grado di parare, con tutte le parti del corpo… ma deve saper parare. Io ho avuto la fortuna di lavorare insieme a Claudio Garella, portiere che vinse lo Scudetto prima a Verona, poi con il Napoli di Maradona. Ricordo che mi diceva sempre: “Torniamo a insegnare a questi ragazzi la parata”. Questo non vuol dire che tralasciamo la parte di lavoro che vede interessati i piedi. Anzi, gli ultimi dieci minuti dei nostri allenamenti sono dedicati proprio a questo tipo di principio: il rinvio da fondo, il rinvio di drop, la trasmissione al compagno o la parabola, per esempio. Ma, ripeto, è una questione di priorità: quella del portiere, ovviamente, è parare».

Come si fa ad allenare la testa di un portiere?
«Domanda molto complicata. Noi numeri 1 spesso ci sentiamo da soli per ampi tratti della gara e poi improvvisamente siamo chiamati in causa: se non siamo super concentrati e sempre dentro la partita è un grande problema. Per prima cosa, pretendo che il mio staff parli con l’allievo, per mantenere alta la concentrazione per tutta la durata dell’allenamento attraverso la comunicazione. Cerco di aiutare i ragazzi a vincere la timidezza, a crescere sotto il profilo della fiducia e della consapevolezza. Seguire le loro partite mi aiuta a intervenire anche sulla parte mentale che in gara non mi ha soddisfatto. E qualche piccola malizia da insegnare non mi manca…»

C’è qualche portiere che hai allenato che adesso gioca nel calcio che conta?
«Abbiamo diversi portieri giovani che giocano in squadre professioniste e che avranno le loro chances quando saranno adulti. Tra i volti noti, invece, Alessandro Zanellati del Padova, Alberto Savini che ha una lunga militanza in Lega Pro con Albinoleffe e Fidelis Andria».

Quali sono le virtù che non possono mancare a un portiere professionista?
«Serietà, disponibilità, umiltà, desiderio di lavorare e di fare sacrifici. Passione e amore per questo sport e per questo ruolo. E un pizzico di pazzia».

Chiudiamo con una curiosità. I tre portieri più forti al mondo, secondo te, e i tre giovani su cui scommetteresti per il futuro.
«Neuer, nonostante gli infortuni. Maignan, anche per la mia fede rossonera. E Szczesny, che è quasi sempre puntuale e preciso. Tra i giovani dico tre italiani, che sono già affermati: Vicario, Provedel e Carnesecchi».

Ultima modifica il Venerdì, 16 Febbraio 2024 15:44

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