Giovedì, 26 Dicembre 2024

Chieri - La psicologa dello sport Giorgia Rocchetta: “I ragazzi al centro della società, tutti devono collaborare perché si divertano, imparino e si esprimano al 100 per 100”

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Giorgia Rocchetta e Stefano Sorrentino Giorgia Rocchetta e Stefano Sorrentino

INTERVISTA - Iniziata la collaborazione con la società del presidente Stefano Sorrentino. “Gli aspetti mentali - spiega Giorgia Rocchetta - vanno allenati come la tecnica, la tattica e il fisico, portano a esprimere il massimo potenziale di ogni atleta con continuità. Nelle società dilettantistiche si parte dal contesto, dai genitori e dagli allenatori, affinché assumano uno stile di conduzione condiviso”


“Sono contentissima di questo incarico, la figura dello psicologo dello sport sta iniziando a essere sempre più presa in considerazione anche nel mondo del calcio: in Italia siamo sempre stati indietro, rispetto ad altri contesti europei e mondiali, mentre oggi c’è un’attenzione crescente verso questo aspetto, che è fondamentale”.

Giorgia Rocchetta, psicologa dello sport che lavora (tra l’altro) con la FIGC e il Torino Calcio, ha da poco intrapreso un percorso di collaborazione con il Chieri, fortemente voluto dal presidente Stefano Sorrentino e dal responsabile delle giovanili Omar Cerutti: l’obiettivo è quello di mettere “il ragazzo al centro del progetto, e di creare intorno a lui le condizioni giuste perché possa divertirsi, imparare ed esprimere le proprie potenzialità al 100 per 100”. "Qui a Chieri - spiega proprio Cerutti - stiamo costruendo una società su misura per i nostri ragazzi: il centro sportivo è tra i più belli e moderni del Piemonte, dedichiamo grande attenzione ai comportamenti dentro e fuori dal campo, lo staff tecnico cura tutti gli aspetti tecnici e tattici, abbiamo preparatori atletico, preparatori dei portieri, fisioterapisti e quant'altro. Per completare questo quadro di insieme, abbiamo deciso di aprire questa collaborazione con Giorgia Rocchetta, perché ci aiuti a costruire un ambiente di lavoro sereno e divertente, oltre che serio e professionale. Insomma, vogliamo ottenere risultati sul campo ma, ancora di più, lasciare un segno positivo nella formazione dei nostri tesserati, perché il calcio è solo un aspetto del percorso di vita che vogliamo proporre".

Dottoressa, perché è “fondamentale” la psicologia applicata al mondo dello sport?

“Perché, quando si pratica uno sport, l’attenzione è sempre concentrata sugli aspetti tecnici, tattici e fisici dell’attività sportiva stessa, mentre viene trascurato l’aspetto mentale. Eppure è la mente che guida il corpo, è la mente che fa la differenza”.

Quindi bisogna allenare la mente.

“Ci sono aspetti mentali che, se allenati come si allenano la tecnica, la tattica e il fisico, portano a esprimere il massimo potenziale di ogni atleta con continuità. Attenzione, lo psicologo dello sport non ha la bacchetta magica, ma un atleta deve avere la consapevolezza di propri aspetti mentali per esprimere il massimo delle proprie potenzialità durante la prestazione. Altrimenti c’è il rischio che le performance siano altalenanti: c’è chi rende molto in allenamento ma non riesce a esprimersi in partita, chi passa periodi di carriera con alti e bassi. Vuol dire che manca la consapevolezza degli aspetti mentali che in quel momento non stanno aiutando l’atleta nella prestazione”.

Scendiamo nello specifico del calcio, in particolare del calcio giovanile e dilettantistico.

“Nel calcio e nelle società dilettantistiche si aggiunge un aspetto fondamentale, ovvero la necessità di lavorare su tutte le figure che ruotano intorno al giovane atleta, che hanno un ruolo fondamentale: dai genitori ai tecnici, ai dirigenti, allo staff. Persone che devono fare, loro per primi, squadra, finalizzati verso l’obiettivo condiviso che è il benessere del ragazzo. Ognuno deve prendere consapevolezza del suo ruolo”.

Quindi la prima tappa del lavoro è sul contesto.

“Sì, perché il contesto influenza i ragazzi. Bisogna creare un ambiente sereno intorno ai ragazzi, dove possano divertirsi, sperimentare le loro abilità e acquisirne di nuove. Un contesto privo di giudizi e di pressione, condizione essenziale per divertirsi, apprendere e migliorare. Senza dimenticare che questo contesto è palestra di vita: attraverso lo sport i giovani traggono insegnamenti che vanno ben oltre lo sport”.

Scendiamo nel concreto.

“Lavorare sul contesto vuol dire fare incontri con i genitori, che sono sempre convinti di fare il bene dei loro figli, ma magari non sono pienamente consapevoli che non tutti i loro comportamenti possono essere di supporto. Poi con gli allenatori di settore giovanile e scuola calcio, per trasmettere loro uno stile di conduzione, dell’allenamento e della partita, condiviso. La formazione è prima teorica, in aula, e poi pratica, sul campo. Lavoriamo in particolare sulla comunicazione, perché i tecnici possono stimolare l’apprendimento e la fiducia dei ragazzi, in questo caso si parla di autoefficacia. Una comunicazione corretta deve stimolare l’apprendimento induttivo, i giovani devono trovare da soli le proprie soluzioni, per diventare giocatori pensanti e non telecomandati, e devono essere liberi dalla paura di sbagliare. Deve cambiare il modo di interpretare l’errore, che può avvenire solo se provo soluzioni nuove. Se non commetto errori è perché faccio solo quello che so già. E invece tramite l’errore si imparano nuove cose”.

Infine, c’è il lavoro con i ragazzi, immagino.

“Ai ragazzi daremo l’opportunità di avere uno sportello di ascolto, nel momento in cui ne sentano la necessità: potranno avvalersi della mia figura professionale attraverso momenti individuali, esclusivamente su loro richiesta. Per esperienza, ha successo il fatto di vedermi in campo durante gli allenamenti, trasmette una nuova interpretazione del ruolo di psicologo dello sport, lo rende più accessibile: non una figura cui ci si rivolge se ci sono problemi, ma per migliorare alcuni aspetti e approfondire le conoscenze”.

Mentre gli adulti, allenatori e istruttori, possono essere più pronti a collaborare con uno psicologo dello sport, immagino ci sia un maggiore scetticismo da parte dei ragazzi. Com’è la loro risposta?

“Dipende dai casi, generalizzare è sempre sbagliato. Alcuni sono timorosi, è vero, quasi sempre perché hanno un’idea sbagliata della nostra figura, legata ai concetti di patologia e malattia mentale. Se spieghi invece il reale ruolo dello psicologo dello sport, abbatti la barriera della diffidenza e trovi la loro voglia di mettersi in gioco. Quando capiscono il percorso e gli obiettivi, i ragazzi sono incuriositi, arriva da loro la richiesta di venire supportati. Posso fare un esempio?”

Certo.

“In un’altra società con cui collaboravo, un ragazzo - che non trovava molto spazio in campo - è venuto a parlarmi, visto che stare sempre in panchina gli suscitava emozioni che non riusciva a controllare. Appena si è seduto, ha subito detto di essersi sbagliato, che non serviva. In poche parole, gli ho spiegato questa idea di psicologo dello sport che non lavora per risolvere un problema, ma per raggiungere la massima espressione dell’atleta, della sua unicità. Dalla paura siamo passati alla rassicurazione e alla spiegazione del percorso”.

Com’è finita?

“È diventato titolare (risata, ndr), anche perché c’era un problema di comunicazione con l’allenatore. Lo psicologo dello sport, tra l’altro, ha il compito di facilitare la comunicazione tra i vari elementi delle società”.

Torniamo a dove siamo partiti, il Chieri. Quali sono le tappe della vostra collaborazione, che tra l’altro segue le linee-guida tracciate dal Settore Giovanile e Scolastico della FIGC?

“Con gli allenatori delle giovanili ho già fatto un primo incontro informativo sullo stile di conduzione che vorremmo che tutti i tecnici del Chieri arrivassero ad adottare, la settimana prossima si replica con gli istruttori della scuola calcio. Sabato prossimo sarò in campo con allenatori delle giovanili per una simulazione di allenamento, perché la competenza è fatta di tre step: sapere le cose, ovvero l’informazione; poi saperle fare, su questo bisogna allenarsi; terzo, come farle, quindi il passaggio dalle simulazioni agli allenamenti veri e propri. Ma non è finita qui, perché agli allenamenti sarò presente e, tramite una griglia di osservazione, mostrerò i risultati per valutare con gli allenatori cosa funziona e quali sono le aree di miglioramento. È un processo continuo, teorico e pratico, che andrà avanti per tutta la stagione”.

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