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Giovedì, 12 Marzo 2020 17:39

La persistenza della memoria: uno Spoon River del mondo del pallone dei dilettanti 

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Gli Allievi dell'Ivest finalisti per lo scudetto di categoria nel 1982 Gli Allievi dell'Ivest finalisti per lo scudetto di categoria nel 1982

4 - Da Beppe Aghemo a Gianni Frara, passando per il giovane dirigente del Venaus Maicol Sibille, tragicamente perito in un incidente stradale nei pressi di Bruzolo, Paolo Accossato in questa puntata della sua rubrica "Il centromediano metodista, storie vintage di un calcio che fu" ci racconta il suo personalissimo Spoon River del mondo del pallone dei dilettanti.


Ho sempre cercato, ho sempre voluto che la mia vita non fosse imprigionata dentro lo schermo di un cellulare. Strumento certamente utile, ma sempre strumento. All’inizio del mio percorso in mezzo ai giornali il problema non sussisteva neppure perché alla fine degli anni ’80 i telefonini semplicemente non c’erano. Inutile dire che si chiamava per dettare il pezzo dalle cabine telefoniche, superfluo ricordare che i pezzi si scrivevano con la macchina da scrivere sulle ginocchia. Altri tempi, né migliori o peggiori. Soltanto altri. Magnificati dalla nostalgia che però non può essere l’unico criterio di giudizio. C’è un aspetto però di quei tempi che mi sono imposto di non abbandonare ed è la memoria della rubrica telefonica. Ovviamente non quella del cellulare ma la mia attraverso l’infinito elenco di numeri di telefono certosinamente accumulati durante gli anni e scritti su un’agenda. Sempre la stessa. Ormai consunta, rappresenta il costante esercizio mnemonico necessario a rintracciare un cellulare o un numero di casa. Nessun trasporto sulla rubrica del telefonino perché solo così ogni posizione nell’agenda, ogni singolo recapito riporta alla luce il volto del destinatario della chiamata ancor meglio della fotografia che appare sullo schermo una volta fatta partire la telefonata.

Numeri di casa ancora senza prefisso, telefonini con ancora lo 0 davanti al 347 o al 335, numeri di appena sei cifre. Insomma, sapori antichi per quanto scoloriti (e non solo dalla memoria, l’inchiostro non è eterno). C’è un altro motivo di questa necessaria persistenza della memoria attraverso la carta ed è riaffiorato in questi giorni leggendo la tragica scomparsa di un ottimo dirigente del Venaus, il giovane Maicol Sibille tragicamente perito in un incidente stradale nei pressi di Bruzolo. Ognuno ha il suo Spoon River degli affetti più cari, il luogo dell’anima in cui conserva le quotidianità perdute di una vita. Il mio è su quella agenda, è in quei numeri di telefono che non digiterò più perché so che suoneranno a vuoto. Di lì, a differenza della memoria di un cellulare, non si può cancellare nulla. Nessun hai deciso di rimuovere, sei sicuro di rimuovere, clicca ok.  Ripercorrere di tanto quelle pagine significa poter salutare ancora una volta chi non c’è più, una singolare visita nel grande cimitero degli amici dello sport dei dilettanti. Tutti insieme, per una volta.

Impossibile citarli tutti, qualcuno però magari ne serba condivisa la memoria. Ne citerò alcuni, emblema per tutti. Di Beppe Aghemo si ricorda la vulcanica esplosività di un terremoto capace di invadere il calcio dilettantistico in una estate di fine anni ’90. Aghemo e il Moncalieri, Aghemo e il calciomercato “berlusconiano”, Aghemo e il ritorno di una squadra torinese in serie C, quel campo di Testona, quei posteggi ai margini della strada, quell’impianto non proprio da C2, quello spareggio con il Legnano, quel Brucato-Claudio Sala-Brucato nell’anno dell’inizio della fine, quel Massara (sì proprio l’attuale ds del Milan) chiamato per salvare la squadra. E ancora prima la trionfale cavalcata dall’Eccellenza, le botte al termine della partita con la Sestrese. E poi l’avventura al Toro, più agra che dolce. Per me Aghemo era la disponibilità cordiale, la classe degli auguri di Natale, la competenza calcistica che passava in secondo piano per la vivacità del carattere. Un dirigente unico, per questo non replicabile.

Di Gianni Frara il burbero carattere faceva a pugni con la capacità di schierare in campo i giocatori, con Beppe Mosso si potevano passare pomeriggi al telefono con la sicurezza di non parlare mai a vuoto, a Beppe Manara si poteva telefonare in qualsiasi momento certi della risposta. Nel mondo del giornalismo c’è una figura, quella di Giovanni Capponi, che è stato mentore e pigmalione di una intera generazione di cronisti. Umiltà ed understatement che rendono grandi chi si fa piccolo per scelta, vocazione naturale a far crescere i giovani, proprio come gli allenatori di settore giovanile che potrebbero allenare in serie A ma scelgono un’altra modalità di insegnare di come si tiene la penna in mano. Il saluto più impossibile va invece a Massimo Dealessi, collega, amico e compagno di tante serate al mercato di Borgaro e non solo. Perché a poco più di quarant’anni è assurdo non vedersi più.                           

Ultima modifica il Giovedì, 12 Marzo 2020 17:48

(Torino, 1970) Giornalista pubblicista, dal 1989 collabora con “La Stampa” nell’ambito del calcio dilettantistico. Dal 1996 è docente di materie letterarie presso il Liceo Valsalice in cui dal 2006 svolge le mansioni di Vicepreside. E’ autore del libro “All’ombra dei giganti. Storie di quartieri e di calcio giovanile nella città di Juve e Toro” (Bradipolibri).

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