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Lunedì, 18 Maggio 2020 09:26

Il miracolo Canavese: la promozione in serie C dei rossoblù 13 anni fa

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6 - Paolo Accossato, in questa puntata della sua rubrica "Il centromediano metodista, storie vintage di un calcio che fu", ricorda la partita per eccellenza della storia del Canavese; lo spartiacque tra i dilettanti ed il professionismo, l’ultimo passo verso un traguardo impossibile per un paese di tremila abitanti.


L’autostrada che porta a Lavagna non è francamente delle più memorabili. Il primo tratto accompagna fino a Savona e vedere dopo tante tortuosità asfaltate qualche scaglia di mare ristora l’animo. Poi la A10, quella dei Fiori fino a Genova con la sua tangenziale che entra nei salotti delle case prospicenti ed infine la A12, ancora per quaranta chilometri in cui si fa il conto alla rovescia perché il casello arrivi in fretta. Duecentoquindici chilometri da Torino, duecentoquaranta se si parte da San Giusto: quella che già si chiama una tosta trasferta in serie D tanto che bisogna partire presto al mattino perché se no alle 15 non si arriva certo per la partita dovendo anche fare pranzo. Chissà cosa pensavano sul pullman i giocatori e lo staff del Canavese quel 25 aprile 2007 andando a Lavagna per quella che doveva essere la partita per eccellenza della storia rossoblù, lo spartiacque tra i dilettanti ed il professionismo, l’ultimo passo verso un traguardo impossibile per un paese di tremila abitanti.

Là davanti, nelle prime file, Salvatore Iacolino, quello che di lì a poco sarebbe diventato “mister serie D” con un filotto inarrivabile di successi in campionato. Vuoi partecipare alla D e ragionevolmente vuoi vincerla? Costruisci una squadra che al 90% ti dà la sicurezza di farlo? Ingaggia Iacolino ed arriva il restante 10%. Casale, Savona, Alessandria, Cuneo: per qualche anno passare ai professionisti significava passare attraverso Iacolino. Poi Massimo Bava, sì proprio l’attuale ds del Toro. Regista sul campo, sinistro garbato, intelligenza calcistica riversata poi dietro la scrivania (la sua in realtà è la tribuna a osservare partite) al Rivoli, al Volpiano e poi al Canavese, la sua creatura ora ad un passo dal grande salto.

Patron Ferraris arriva in macchina perché il presidente non può mancare all’atto conclusivo di un percorso d’amore più che di calcio iniziato anni prima con la Sangiustese. Il Canavese come nome ma anche come marchio da esportare di una zona a quell’epoca non ricca, ricchissima di calcio. Il polo del pallone piemontese con Rivarolo, Favria, per non parlare dell’Ivrea. Una zona capace di dare due squadre a pochissimi chilometri di distanza in serie C dopo che il professionismo nel Torinese negli ultimi trent’anni era stato toccato solo dal Moncalieri. E dopo quella felice esperienza nessun sodalizio della provincia sarà più capace anche solo di avvicinarsi al traguardo.

Sul pullman, appena dietro, i giocatori. Under e senatori, concentrati. Per molti, la prima volta di un passaggio così epocale. Michel Alberti, il bomber toscano da 20 gol a stagione, zazzera iacentina, sguardo furbo, letale in area di testa e di piede. Marco Bergantin, l’eterno furetto in grado di rimbalzare tra i difensori ed incunearsi dopo lo spazio non c’è, Davide Bonato, l’unico canavesano doc, Gianluca Bo, il giovane che oggi gioca ancora nel Vanchiglia e di mestiere fa il parrucchiere e taglia i capelli a Belotti, Mario Chianello, rude centrale con piede ruvido e sorriso da scugnizzo al fianco di Herman Elia, l’argentino arrivato nel mercato di dicembre.

Poi il ghanese N’ze Koaussi, fisico e velocità sulla fascia ed un centrocampo da martelli: Cretaz, Del Signore, Montingelli. In un attimo la palla ritorna a casa e ancora più velocemente è sui piedi degli attaccanti. Infine Lollo Parisi, la punta tutto genio e sregolatezza, il pallone sempre ad un centimetro dal piede (possibilmente il sinistro). L’anno della sua esplosione, della sua consacrazione. In estate Iacolino non lo vuole, non lo conosce così bene. Bava gli dice di fidarsi, di Parisi sa vita, morte e miracoli. Quella può essere la stagione della sua svolta calcistica e già dopo un paio di mesi Iacolino capisce che sarà proprio così.

Scendono dal pullman, vanno negli spogliatoi, piccoli, proprio attigui al campo che è incastrato tra le case e le vie della città. Lì ad un passo il mare, poco distante la montagna, un miracolo trovare una spianata non in dislivello su cui costruire l’impianto. La giornata è di sole appena appena velata, il terreno in sintetico restituisce il calore già più che primaverile. Nel riscaldamento Iacolino è di una tranquillità olimpica: per tenere dietro il Savona definitivamente basta un pareggio. Ad una squadra abituata a capitalizzare al massimo gli 1-0 può andare anche bene uno 0-0 o simile. Ci sono due bus arrivati direttamente da San Giusto, se non c’è mezzo paese poco ci manca. Ma l’occasione lo impone. Quando mai San Giusto andrà a giocare contro le grandi di serie C? Intanto c’è un rigore ed è per la Lavagnese: Marchio troppo irruente su Nicolini e Masucci quasi con scherno fa il cucchiaio a Vono. Il dio del calcio lo punisce e proprio Masucci stende Parisi poco dopo. In area. Il peso di una stagione, il sinistro radente nell’angolo. Uno a uno, ripresa al cloroformio, a tutti va bene cosi. Si tirano fuori le bandiere, si innaffia Iacolino che non tenta neppure la fuga. Le foto di rito, gli spruzzi negli spogliatoi, per quattro anni sarà serie C con Storgato, Sesia, Prina, Ezio Rossi: San Giusto contro Pavia, Varese, Como, Olbia, Pro Vercelli, il derby con l’Ivrea. Poi si ritorna a casa e da Lavagna a San Giusto anche l’autostrada diventa un sentiero da percorrere con piacere.

Ultima modifica il Lunedì, 18 Maggio 2020 11:35

(Torino, 1970) Giornalista pubblicista, dal 1989 collabora con “La Stampa” nell’ambito del calcio dilettantistico. Dal 1996 è docente di materie letterarie presso il Liceo Valsalice in cui dal 2006 svolge le mansioni di Vicepreside. E’ autore del libro “All’ombra dei giganti. Storie di quartieri e di calcio giovanile nella città di Juve e Toro” (Bradipolibri).

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