Ciao Tatiana, sei partita dal campetto di Isola del Liri, in provincia di Frosinone, per arrivare al Campionato del Mondo con la Nazionale italiana e allo Scudetto con la Lazio: due parole per descrivere questo tuo formidabile percorso.
Il mio percorso è stato straordinario anche grazie al fatto di aver conosciuto allenatori e preparatori di livello che mi hanno insegnato le malizie giuste per diventare una grande calciatrice; ovviamente dietro al successo vi sono stati tanti sacrifici e dedizione da parte mia. Arrivare al Mondiale è il sogno di tutti i bimbi - femmine e maschi - che iniziano a praticare questo sport.
Calcio femminile: il cambiamento a livello mediatico è sotto gli occhi di tutti, basti pensare che Uefa Women’s Euro 2022 è stato trasmesso in tutto il Mondo è seguito da 365 milioni di spettatori in tv, e in streaming. Cosa è mutato invece a livello tecnico?
A livello tecnico vi sono stati molti cambiamenti: finalmente si curano aspetti tecnici nello specifico come per esempio la tecnica di base, la tecnica funzionale e, soprattutto, la tecnica individuale. Ne è esempio il fatto che sono nate molte scuole di calcio individuale per curare questi aspetti a livello del singolo, nell’ottica di integrare l'individuale e collettivo.
La crescita esponenziale del movimento calcistico femminile sta consentendo a molte bambine di inseguire il proprio sogno fin da piccole, all’interno di organici totalmente in rosa. Un tempo non era così: cosa hanno rappresentato per te i primi anni passati a giocare con i maschietti? Sono stati un vantaggio?
Il mio percorso è stato diverso: da bambina ho sempre giocato con i miei fratelli, con mia sorella e con altri bambini nei campetti di zona; la prima vera squadra è stata femminile, avevo 10 anni e sono andata direttamente in prima squadra dato che la società non aveva un settore giovanile. In generale, penso che aver giocato da bambina con i maschi sia stato un vantaggio: all’epoca il livello del calcio femminile non era alto e con i maschi miglioravi la velocità di esecuzione.
Sei stata una centrocampista di qualità, hai indossato la maglia numero 10 della Nazionale e ora siedi in panchina. Quanto è importante la parte tecnica nelle tue sedute di allenamento? E in gara? Come riesci a trasmettere questa componente alle tue giocatrici?
Sono molto appassionata di tecnica e tattica e nelle sedute di allenamento le curo moltissimo. Mi piace trasmettere alle mie giocatrici l'importanza di gestire il gioco tramite un corretto dominio e controllo della palla e una esecuzione veloce della giocata.
Nel calcio di oggi (soprattutto in Italia) prevalgono fisicità, tattica e velocità di pensiero. Può essere realizzabile il sogno di un “sistema calcio” che metta nuovamente al centro il dominio e la gestione del pallone?
Certo che possa essere attuabile ma bisogna crederci e bisogna credere nel lavoro che porta a questo risultato. Nell'immediato può sembrare un lavoro pieno di difficoltà, tuttavia con il tempo dà i suoi frutti.
La nostra esperienza in Australia (nazione ospitante dei Mondiali 2023) ci ha permesso di scoprire un mondo in cui il calcio femminile è al centro di tutto il movimento sportivo: staff di professionisti, centri di formazione e appeal a livello mediatico hanno fatto sì che il numero di atlete praticanti questo sport sia cresciuto negli anni. Cosa ci separa da queste realtà? Pensi che la nascita di ISS Women possa contribuire a colmare parte di questo gap?
Da queste realtà ci separano anni di lavoro e scarsi investimenti da parte dei nostri vertici che per molto tempo sono stati assenti; inoltre, penso che avere staff professionali, ben preparati e aggiornati, faccia la differenza nel far crescere il livello. In questo senso ISS Women cercherà di aiutare a colmare il gap attraverso una preparazione rigorosa delle istruttrici e degli istruttori.
Per noi la nascita di ISS Women rappresenta il fiore all’occhiello della stagione 2022/23: che valore può avere la presenza di un centro di formazione a livello nazionale per la crescita delle giovani calciatrici?
ISS Women ha come obiettivo - e in questo senso mi auguro che possa essere un punto di riferimento - aiutare le giovani calciatrici a colmare le piccole lacune e a curare quei dettagli che non sempre possibile correggere quando si è in gruppo con tutta la squadra.
Sei la nuova responsabile di ISS Women, come intendi approcciare questo ruolo?
Sono molto contenta e onorata di entrare a fare parte di ISS Women e non vedo l'ora di iniziare. Sento una grande responsabilità verso questo ruolo e mi impegnerò al massimo per trasmettere le mie conoscenze e cura del dettaglio agli istruttori e alle ragazze. È importante far raggiungere la consapevolezza dei propri mezzi e una mentalità vincente ma questo si ottiene attraverso il raggiungimento di piccoli obiettivi positivi che fortifichino la loro consapevolezza.
Infine, cosa ti ha portato a diventare nostra allieva all’età di 30 anni? È vero che non si smette mai di imparare?
Ho iniziato a frequentare ISS Women a 30 anni perché a quell’epoca giocavo fuori sede e avevo la necessità di allenarmi i primi giorni della settimana. Ho scoperto un “mondo" altamente professionale che ha saputo migliorarmi e correggere alcuni miei gesti tecnici come nessuno aveva mai fatto nonostante i tanti anni di esperienza come calciatrice ad alti livelli. Ho migliorato la presa di decisione in base alle diverse situazioni in campo e ricordo di essere rimasta stupita di come alla mia età avessi ancora margini di miglioramento… Quindi non bisogna mai scoraggiarsi.
LA CARRIERA
Tatiana Zorri è la nuova responsabile di ISS WOMEN. Ha fatto parte della Nazionale italiana che ha partecipato al Campionato mondiale nel 1999 e ai Campionati europei nel 2001, nel 2005 e nel 2009, vestendo la maglia azzurra in 155 incontri e realizzando 22 reti.
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Mister Sannino, partendo da zero lei ha attraversato tutte le categorie, arrivando fino alla serie A: ci racconti in breve questo percorso esemplare.
Devo dire grazie ai dieci anni di “gavetta” fatta nel calcio giovanile, dove ho potuto sperimentare le mie idee con i giovanissimi, dando un contributo nel loro momento critico di crescita. A chi mi chiede “cosa è il bello del calcio?” rispondo: dare ai ragazzi la possibilità di avere un sogno. E con molti di loro – anche chi è arrivato ad alti livelli – sono ancora in contatto, allievi che magari ho avuto quando ho iniziato la mia carriera di allenatore, 35 anni fa, dopo essermi ritirato dal calcio giocato.
Che consiglio darebbe ai ragazzi che desiderano intraprendere il mestiere di allenatore?
Inizierei dicendo che rispetto al passato è cambiato tutto. Trenta, quaranta anni fa il percorso da seguire, anche se lungo e impegnativo, era noto: bisognava fare sempre e comunque la “gavetta”. Oggi le variabili sono così numerose che pianificare un andamento lineare è impossibile.
Lei ha avuto numerose esperienze all’estero: Inghilterra, Grecia, Ungheria, Libia, Svizzera. Quale di queste le ha lasciato il ricordo più intenso?
Sicuramente l’Inghilterra, per il modo di intendere il calcio, per la serenità – potrei dire – che circonda l’ambiente, pur senza perdere di vista il risultato. Ma anche per la bellezza degli impianti, per la cultura del lavoro, per la voglia di primeggiare senza dimenticare i valori fondanti dello sport. È l’unico paese in cui ho visto fare il “terzo tempo”. Anche nelle sconfitte, a fine partita, ci si ritrova insieme alla squadra avversaria a parlare, mangiare e bere. Un modo e un mondo che a noi sembra lontano anni luce. E ancora, il rito di andare allo stadio portando la famiglia, i bambini, gli anziani. Da sottolineare inoltre l’assenza di malizia, di malafede, nei giocatori: se un calciatore simula l’aver ricevuto un fallo, viene fischiato dai suoi stessi tifosi. E tu che vince o perda, fino all’ultimo secondo giochi la partita, andando all’attacco e cercando di fare gol. Anche l’Ungheria mi ha colpito positivamente: calcisticamente è crescita tantissimo, la nazionale da qualche anno sta facendo bene (grazie anche alla guida di un tecnico italiano), hanno impianti sportivi e training center avveniristici e hanno investito in modo importante nel settore giovanile.
Secondo lei cosa hanno meno i settori giovanili in Italia rispetto ad altri paesi europei?
In serie A i settori giovanili – apparentemente – sono ben strutturati. Tuttavia i risultati non appaiono all’altezza: tranne rarissime eccezioni (penso all’Atalanta e negli ultimi tempi anche alla Juventus) pochi ragazzi della Primavera arrivano in prima squadra. Inoltre pochi tra i nostri giovani calciatori fanno esperienza all’estero. Questo ovviamente si riflette sul campo: i risultati delle squadre italiane nella Young League sembrano confermarlo. E di nuovo ritorniamo al discorso della “cultura” (chiamiamola così) del calcio nel nostro paese: se un giocatore azzecca tre partite di seguito diviene subito un fenomeno; tuttavia se subito dopo ne sbaglia due cade inesorabilmente nell’oblio. Questa variabilità di giudizio ovviamente è nociva: alimenta false aspettative e allontana dall’idea fondante che è “dare solide basi al giocatore”. Così si dimentica che l’esperienza si fa sbagliando e solo dando continuamente la possibilità di agire si impara.
Da anni noi di ISS focalizziamo la didattica sull’errore tecnico del singolo: siamo quindi condizionati nel leggere le partite. Ma un allenatore come lei cosa vede in campo?
Chi privilegia la lettura tecnica (pensiamo ad Allegri) chiede giocatori che siano tecnici. Per quanto mi riguarda, voglio che i miei giocatori esprimano le proprie qualità (tecnica e fantasia: giocate di prima, dribbling, tiro; ma anche saper temporeggiare se è il caso ben sapendo che possono sbagliare (ad esempio perché c’è un comportamento tattico errato da parte dei compagni, di chi si muove senza palla). Io chiedo ai miei giocatori: in zona di campo “1” (il primo terzo dell’area di gioco) un gioco più semplice possibile, partendo dal portiere o dopo un recupero palla; in zona “2” (il secondo terzo di campo) di essere quanto più veloci possibili nel pensare alla giocata; in zona “3” (l’ultimo terzo) che si metta a frutto la creatività del singolo. In questo modo, pur dando una evidente impronta tecnica, lascio ai miei giocatori una grande libertà di esecuzione.
Ma in allenamento, a livello di massima serie, si riesce a lavorare per correggere il gesto tecnico.
Sì, in serie A è ancora importante. Grazie allo staff dei collaboratori tecnici che ho avuto, sono riuscito a operare bene in questo senso, per comparti e a gruppi di due-tre giocatori. Ad esempio, i difensori venivano allenati a colpire di testa; i centrocampisti al modo di ricevere la palla; gli attaccanti allo stop di petto e al calciare, eccetera. Tuttavia a volte il giocatore che è “arrivato” pensa sia solo una perdita di tempo. Bisogna quindi lavorare su questo aspetto: è un problema di “cultura” del singolo e della sua sensibilità nel comprendere che si può sempre migliorare.
Quindi lei come valuta una scuola come la nostra, che opera nella correzione del singolo gesto tecnico ai fini della crescita piena e consapevole del calciatore?
L’aspetto peculiare del vostro insegnamento è l’essere individuale: il giocatore esce così dalla dimensione del collettivo ed entra in una situazione su misura per lui. Tuttavia, come ho detto poc’anzi, un giocatore “esperto” deve avere molta umiltà per rendersi conto del beneficio che ciò gli può dare: io vorrei avere tutti i miei giocatori così, con questa umiltà.
Se magicamente potesse tornare in una città in cui è già stato, dove vorrebbe andare?
Dove non sono ancora andato! A 65 anni ho ancora tanta voglia di mettermi in gioco, di pormi nuovi obiettivi. In questo momento sto allenando una squadra di prima lega elvetica: è composta da semiprofessionisti, ragazzi che hanno una occupazione e che al termine delle otto ore lavorative vengono ad allenarsi. Per me è come se fossi in serie A: le soddisfazioni che ho con ragazzi cos’ motivati, che ascoltano, sono impagabili. Il mio girovagare per il mondo è dovuto alla ricerca continua di questo entusiasmo, potrei dire infantile, nel giocare: è la cosa che più mi rende felice.
LA CARRIERA
Dopo aver allenato le giovanili di Voghera, Pavia, Monza, Como, Giuseppe Sannino approda al professionismo nel 1996, scalando negli anni le varie categorie per arrivare nel 2011 in serie A con il Siena. Fanno seguito le panchine di Palermo, Watford (seconda divisione inglese), Catania, Capri, Salernitana, Triestina, Levadiakos (prima divisione greca), Novara, Honved Budapest (prima divisione ungherese), Al-Ittihad Tripoli (prima divisione libica), Nocerina. Attualmente allena il Paradiso Lugano, che milita nella terza divisione svizzera.
Individual Soccer School (ISS) è un centro internazionale di formazione tecnico calcistica individuale, che opera in diverse regioni d'Italia e, da questa stagione, anche all'estero.
ISS nasce nel settembre 2010 a Pianezza, in provincia di Torino, sulla base di una considerazione apparentemente banale, ma quantomai vera: la constatazione della mancanza del ruolo, nel mondo del calcio, dell'istruttore individuale. Da una attenta osservazione delle routine di allenamento effettuata sia nei contesti sportivi nazionali che internazionali, è apparso evidente come la cura del gesto tecnico fosse trascurata rispetto ad altri momenti dell'allenamento, che mettevano in gioco fisicità, forza e velocità, intelligenza tattica e altri fattori di natura caratteriale. Ma ancora di più ha colpito l'assoluta mancanza di un vero e proprio centro di formazione costruito attorno all'insegnamento della tecnica individuale nel gioco del calcio. In questo senso l'obiettivo di ISS è potenziare capacità, attitudini sportive e comportamentali di tutti gli atleti/e a cui si rivolge nella fascia di età compresa tra i 6 e i 20 anni, mediante programmi didattici differenziati e modulati secondo il livello di crescita o abilità raggiunti.
Inoltre Individual Soccer School propone a società calcistiche, dilettanti e professionistiche, una collaborazione tecnica con programmi specifici. Il corso di formazione per istruttori presenta una concreta opportunità di conoscere e condividere il metodo ISS mediante un programma specifico di preparazione teorica e sul campo.
Il centro di formazione annovera undici sedi distaccate in Italia e tre all'estero; è presente a Bassano del Grappa, Bolzano, Trento, Monza, Ornago, Trezzo sull'Adda, Olbia, Tempio Pausania, Charvensod, Ospedaletti, Palermo. In Francia a Quimper, in Repubblica Ceca a Brno e nel New South Wales (Australia) a Illawarra. ISS ha anche avviato un percorso rivolto a studenti-calciatori per l'assegnazione di borse di studio presso università statunitensi.
Nel corso della sua attività decennale sono stati più di 20.000 gli atleti/e che - grazie a stage, eventi, collaborazioni con società e percorsi individuali - hanno potuto giovarsi del metodo ISS. Di questi oltre 300 sono approdati a società professionistiche. Altrettanti sono stati gli istruttori formati tramite i corsi dedicati sopra citati.
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