“Da sessantenne con i capelli bianchi, mi tengo stretti i miei ricordi, il mio passato. Ma per rimanere tanti anni nel calcio devi essere capace di innovarti e stare sempre sul pezzo...”
C'è molto di Carlo Pesce in questa frase. Ciuffo brizzolato, sciarpa elegante, battuta pronta, il direttore sportivo del Lascaris è uno degli ultimi signori del calcio piemontese, “ma io ho avuto maestri come Righetti, Prunelli, oggi Trabucco”.
Una vita da allenatore, direttore sportivo da qualche anno, Carlo Pesce ha una lunga carriera da raccontare.
“Ho iniziato prestissimo ad allenare, al Pertusa. Il compianto Pieraugusto Righetti mi ha fatto iniziare con i Pulcini, era il '73, allenavo i bambini del '63, adesso hanno i nipoti che giocano. Sono arrivato a 1450 panchine: una trentina di panchine all'anno, facile fare i conti...” Undici anni Pertusa, due anni al Nichelino, sei alla Scuola calcio Gabetto – “la mattina lavoravo da Gigi Gabetto, al pomeriggio allenavo con gente come Carelli, Dezio Rampanti” – poi Venaria, il passaggio della fusione Orbassano-Venaria, e altri tre anni di Orbassano, ancora Gabetto, Giaveno e infine Lascaris.
“Poi il mio lavoro mi ha portato a Cuneo, e ho dovuto lasciare la squadra in corsa a Maurizio Ricci, mio secondo, che adesso allena i Giovanissimi nazionali a Cosenza. Per rimanere nel calcio, facevo i report per Luca Trabucco per le partite di Eccellenza. L'osservatore l'ho sempre fatto, per il Toro e ultimamente anche per il Genoa”.
Quelle vicissitudini, Carlo, hanno favorito il passaggio dalla panchina alla scrivania.
“Per questo devo rigraziare Luciano Ferramosca, perché con me ha rischiato, ma ha rischiato bene, quell'anno abbiamo vinto tre campionati, ho portato allenatori importanti come Ricardo e Gentile. La qualità passa attraverso il manico: qualità e competenza erano i miei obiettivi anche da allenatore, da direttore sportivo sono convinto che se scegli allenatori bravi, i risultati vengono di conseguenza”.
Un anno alla Gabetto, questa è la terza stagione al Lascaris. Come sta andando la tua “seconda vita” nel calcio?
“Il primo anno abbiamo portato 4 squadre ai regionali, è andata abbastanza bene ma non abbiamo vinto niente. Il secondo anno fantastico, abbiamo vinto il titolo regionale con i Giovanissimi fascia B e portato a casa Superoscar, dopo una decina di anni che mancava da queste parti, merito anche della Scuola calcio: Sanseverino è un grande, segue mie direttive di qualità negli istruttori e i risultati si vedono. Quest'anno abbiamo mancato i regionali con due categorie, questo regolamento allucinante ci ha penalizzati”.
Il titolo regionale è stata la tua soddisfazione più grande, da direttore sportivo.
“Eh sì... da allenatore ho vinto 16 campionati, ma zero titoli, ho perso finali contro Vogliotti e contro Manzo, grande amico e grande tecnico. Non sono mai andato a Chianciano, neanche da accompagnatore... Ma mi sono rifatto da direttore sportivo. Quella squadra era inesistente, Pisani ha preso una situazione che definire deficitaria è dire poco. Abbiamo costruito la squadra, la stagione è stata una cavalcata splendida, senza mai problemi, anche in finale non c'è mai stata partita, anche se nutro grande stima per Ligato e il suo Atletico Torino. Il segreto di quella squadra era il gruppo. Una cosa ho imparato in tanti anni di calcio: quando prendi un giocatore, le qualità umane vengono prima dei piedi, le mele marce negli spogliatoi sono deleterie. Con un bravo ragazzo puoi lavorare, con una testa di cavolo, anche se ha i piedi buoni, non fai nulla”.
Com'è possibile che quella stessa squadra, l'anno dopo, sia fuori dai regionali? Tutta colpa del regolamento o bisogna fare autocritica?
“Il regolamento è assurdo: sbagli un rigore all'ultimo secondo con il Cenisia, ti danno un rigore contro inesistente a Venaria e stai fuori. Detto questo, qualcosa abbiamo sbagliato anche noi, forse ci è mancato un po' di coraggio. Le situazioni da analizzare sono tante, ma alla fine niente scuse, bravi agli altri che sono passati. Adesso cerchiamo di portare a casa la coppa Piemonte”.
Anche gli Allievi non si sono qualificati ai regionali.
“È un grosso rammarico, perché quella è una squadra importante, con una conduzione tecnica spettacolare. Manavella è un professionista, ha un atteggiamento sul campo votato all'insegnamento, infatti neanche un giocatore ha chiesto di andare via, hanno capito che la loro crescita passa da lì”.
Parliamo di questo regolamento, ma in modo costruttivo. La tua idea?
“Quello di prima era peggio, ma si possono fare mille cose meglio di questa. È molto semplice: come per la Juniores, chi ha Eccellenza e Promozione va di diritto ai regionali. Poi completi gli organici con le prime due della stagione precedente, anche le prime tre volendo: al massimo fai un girone in più. Hanno una testa tutta loro in Federazione, perché penalizzi il movimento, se tieni fuori non dico noi, ma società come il Chieri”.
Obiettivi per questa stagione?
“Fare la doppietta in Coppa Piemonte sarebbe bellissimo. Poi andare più in là possibile con 2001, una squadra importante con un allenatore importante, e continuare il persorso di crescita dei '99. Luca Trabucco, piuttosto che cercare il risultato, costruisce giocatori: se Luca ha piacere di rimanere, l'anno prossimo possiamo divertirci con gli Allievi”.
Tutti parlano di Aiassa, ma nel Lascaris ci sono giocatori che possono fare qualcosa in più?
“Sì. Partiamo dai piccoli, dai 2001: Romano è un centrocampista importante, Cusenza un attaccante completo, anche Cavallotti, Rampazzo e Todaro hanno dei numeri. Nei 2000 parlavi di Aiassa, è un ragazzo che ha margini di crescita enormi, è acerbo ma ha fisico e voglia. Ma ce ne sono 3 o 4 della sua forza, Pugliese, Pisani, Pampino, e dimentico qualcuno. Nei '99 Pegorin, preso dal Toro, è un esterno bravo, Toscano buon portiere, dopo Savini che abbiamo già dato al Toro. Ci metto anche Piras, che ha ampi margini di miglioramento, e il capitano Caputo. Negli Allievi c'è Arabia, richiesto da mezzo mondo: fa cose straordinarie, deve limitare le pause. Poi Sechieri, Aprà, il capitano Morace, ce ne sono diversi bravi, qualcuno va già in Juniores con Gentile, un altro maestro di calcio”.
Carlo, nella tua carriera hai avuto tantissimi presidenti importanti. Un aggettivo, una definizione per ciascuno di loro.
“Permettimi una premessa: la presidenza è fondamentale in una società, a qualsiasi livello. Prendi Trabucco, Perona, Zecchi, quelli hanno storia e valenza nel calcio, le loro società sono solide. Con quelli che si inventano non vai da nessuna parte, mi dispiace per la Samp ma Ferrero farà la fine di Ghirardi nel giro di due anni”.
Da sampdoriano sto facendo gli scongiuri, comunque... torniamo alla mia domanda: presidenti e definizione secca.
“Va bene. Righetti, lo chiamavo il Richelieu del calcio. A Nichelino, più che un presidente, c'era Fantino, grande affabulatore. Gigi Gabetto uguale il calcio, altro non posso dire del dottore. Cascino, che dire... una persona buona. Alla Gabetto c'era Leo Michielon, vulcanico. Ferramosca, un uomo particolare, toccato troppo da certe situazioni della vita, capace di grande entusiasmo e di grande discontinuità. Francesco Trabucco, per me è un papà. Ah, dimenticavo il numero uno, Prunelli, una vera enciclopedia del calcio”.
Senti Carlo, in questi anni gli episodi particolari saranno stati tanti. Ce ne racconti un paio inediti?
“Ho visto cose che voi umani... (risata, ndr). Allora, ho perso una finale per il titolo regionale contro quel maestro di Vogliotti, l'unico che mi ha sempre battuto, ai rigori, ma con un episodio incredibile: Cibrario, il mio talento migliore, sbaglia il primo, ma il mio portiere para subito: l'arbitro lo fa ripetere, nessuno ha mai capito perché, e abbiamo perso... Un'altra volta, ad Alessandria, sono corso dietro all'arbitro con un bastone, ne aveva fatte di ogni: avevo le scarpe da passeggio, ero nel fango fino alle caviglie, tutti che ridevano, per fortuna l'arbitro si è chiuso in tempo dentro lo spogliatoio...”
Si può tracciare un bilancio di tutti questi anni?
“Ho vissuto il passaggio dal calcio degli anni '70, pioneristico ma molto bello e pulito, al calcio di oggi. All'inizio della mia carriera non conoscevi i genitori, lasciavano i ragazzi al campo e via. Adesso, da direttore sportivo, più che le questioni di campo devo gestire le situazioni familiari, i genitori sono diventati i procuratori dei loro figli. Una volta si giocava con le scarpe di cartone, adesso costano 200 euro, ma in questo passaggio epocale non sempre mi riconosco... Sono un sessantenne con i capelli bianchi, mi tengo stretti i miei ricordi, il mio passato. Per rimanere tanti anni nel calcio devi essere capace di innovarti e stare sempre sul pezzo, ma quei valori del calcio in cui sono cresciuto penso di riuscire a trasmetterli, e mi servono molto quando parlo con gli allenatori, con i ragazzi e anche con i genitori”.
Dai, giochiamo un po'. Parliamo di direttori sportivi: i migliori, esclusi i presenti, e i peggiori.
“Anche perché sono amici, Vincenzo Scalia del Chisola e Pino Magnelli del Bsr Grugliasco. Negli anni Sergio Fantino è stato un maestro. Il meglio l'ho imparato da Renato Carrain, forse anche il peggio... Peggiori no, io non litigo con nessuno, forse qualche discussione ultimamente l'ho avuta con il Venaria e con Balluardo, ma nulla di grave. Diciamo che sceglierei altre persone con cui lavorare”.
Gli allenatori più bravi?
“Gli allenatori con la A mauiscola che ho incrociato in questi anni sono Massimo Gardano e Vincenzo Manzo. Moreno Longo è un discorso a parte, è prontissimo per la serie A, è lui il dopo Ventura”.
E di quelli ancora nelle giovanili?
“Ho molta stima per Carlo Barberis del Bacigalupo e Paolo Gribaudo del Venaria, mi piacerebbe averli con me: questi prendono una 500 e la fanno viaggiare come un Cayenne. E tutti i miei, non li cambierei con nessuno al mondo”.
Qualcuno con cui non lavoreresti, invece?
“Tutti gli altri! No, dai, diciamo gli allenatori che hanno un lessico diverso dal mio, e quelli so tutto io. Ne ho incontrati tanti...”