Lunedì, 31 Marzo 2025
Individual soccer school

Individual soccer school (33)

INTERVISTA - Dal Beiborg al Lascaris Under 17, poi il salto in prima squadra al Cafasse Balangero, dove è titolare fisso. Il giovane esterno di racconta: «Prima Cocino e ora Fioccardi mi impiegano da terzino, ma per le mie caratteristiche mi piacerebbe giocare più avanti e fare qualche gol. Con l'ISS miglioro la tecnica e il controllo di palla. giocare subito in prima squadra ti prepara davvero per puntare a categorie superiori, il mio obiettivo è diventare professionista».


Classe 2007, entrato quasi per caso nella rosa di una squadra di Promozione e diventato subito titolare fisso: «Normale, va al doppio della velocità rispetto agli altri», è il commento di chi lo ha allenato e visto crescere passo dopo passo, Giordano Piras, fondatore dell’Individual Soccer School. Stiamo parlando di Riccardo Pomini, giovane esterno del Cafasse Balangero, che occupa il quarto posto nel girone B di Promozione: finora nella sua stagione ci sono 21 presenze in 23 partite di campionato, più di 1500 minuti in campo.

Riccardo, raccontaci la tua carriera.
«Ho iniziato a giocare a calcio a 9 anni, tardi rispetto agli altri, nella società del Beinasco. Non sapevo fare nulla, fin da subito sono stati fondamentali agli allenamenti individuali, che ho fatto prima con Ermanno De Maria, poi all’Individual Soccer School. Il Beinasco nel frattempo è diventato Beiborg, io sono rimasto lì fino all’Under 16. Avevo tante richieste, ma mi trovavo bene e mi divertivo, con gli amici di sempre».

Per cambiare squadra hai aspettato l’Under 17.
«Sì, mi ha chiamato il Lascaris, difficile dire di no. Ho fatto un solo anno con mister Maurizio Cocino, che è tosto ma insegna tantissimo. Abbiamo vinto il campionato, siamo usciti nella semifinale per il titolo regionale contro il Lucento».

Da lì subito nel calcio dei grandi. Come mai?
«Il Lascaris voleva confermarmi per la Juniores, ma mi ha chiamato il Cafasse Balangero, che in effetti è lontano da casa mia, ma sono andato per qualche allenamento. Il mister Stefano Fioccardi è stato chiaro, mi ha detto che avrei fatto la spola tra Juniores e Prima squadra, non mi assicurava nessuna presenza. Devo dire la verità: non ero molto propenso ad andare, mi ha convinto Giordano Piras, e anche Cocino mi ha detto che non potevo perdere questa occasione. Hanno avuto ragione loro, alla fine gioco quasi sempre titolare».

A 17 anni in Promozione. Come ti trovi?
«Mi trovo bene, benissimo. Altroché Juniores, un anno in prima squadra è molto più formativo, ti prepara davvero per puntare a categorie superiori. Questo è calcio vero, gioco con gente forte che ha fatto categorie importanti, come Lorenzo Coccolo e Mario Bruno. Qui un ragazzo giovane come me può crescere davvero».

Però hai dovuto cambiare ruolo.
«Già con Cocino, che mi ha messo terzino, mentre avevo sempre giocato esterno alto. Mi piace giocare basso, per carità, ma mi piacerebbe fare più gol, in carriera ne ho sempre fatti. Da esterno alto, punti l’uomo e sei in porta. Adesso, quando arrivo là davanti sono già morto (risata, ndr). Faccio cross, qualche assist, prima o poi capiterà anche di segnare».

Starai migliorando nella fase difensiva.
«Sto imparando a difendere, anche se a livello tattico, come movimenti e diagonali per capirci, ci sono abbastanza. Se il mister mi fa giocare vuol dire che sto andando bene e ovviamente ascolto quello che mi dice e do sempre il massimo. Anche se - ripeto - mi piacerebbe stare più alto per esaltare le mie caratteristiche: sono rapido, bravo nell’uno contro uno, ho una buona tecnica e visione di gioco».

Qualcosa ci hai già detto, ma quali sono gli allenatori più importanti che hai avuto, e cosa ti hanno insegnato?
«Francesco Addesi al Beiborg mi ha insegnato a non mollare mai, ad allenarmi sempre al massimo. Maurizio Cocino mi diceva poche cose ma sempre giuste. Stefano Fioccardi mi dice di metterci la testa che poi i risultati arrivano. È un grande motivatore».

Nel tuo percorso, che ruolo ha giocato l’Individual Soccer School?
«Ha giocato e gioca tutt’ora un ruolo fondamentale. In generale, vado per migliorare la tecnica e il controllo di palla. Giordano e i suoi istruttori, che sono tutti bravissimi, ogni volta mi mettono in difficoltà con situazioni specifiche che poi ritrovo in partita, tante piccole cose ma tutte utili».

Fuori dal campo, cosa ti piace fare?
«Studio, sono al quarto anno di informatica. Qualche volta aiuto i miei genitori al ristorante, mi piacerebbe seguire la strada di mio padre ma lui vuole che io mi laurei, prima di tutto».

E ha ragione! Chiudiamo con il tuo sogno nel mondo del mondo del calcio.
«Giocare in serie A è il sogno per tutti, ma l’importante è arrivare nel professionismo. Ma da esterno alto!»

INTERVISTA - Il giovane play si racconta: «Ho iniziato al Bsr Grugliasco, poi Lascaris e ora sono al Chisola, una squadra fortissima e con un grande mister. Il mio idolo è Barella, ma mi ispiro a Pirlo e Calhanoglu. Il tiro da lontano è il mio punto di forza, devo migliorare la fase difensiva. Enzo Friso mi spiega il ruolo con la sua esperienza, devo imparare a essere leader in campo. Sogno di vincere la Champions».


Marco Trisorio, maglia numero 10 e testa alta in mezzo al campo, è il play del Chisola Esordienti: classe 2012, è uno dei talenti più limpidi del panorama dilettantistico piemontese.

Marco, raccontaci di te. Quando hai iniziato a giocare e come sei arrivato al Chisola.
«Ho iniziato a giocare all’età di 4 anni nella società del mio paese, il Bsr Grugliasco. Il pallone è sempre stata la mia passione, come per tutta la mia famiglia. Poi sono andato al Lascaris, dove sono rimasto per quattro stagioni. Da quest’anno gioco al Chisola, mi piacerebbe rimanere qui nel passaggio al settore giovanile».

Che tipo di giocatore sei?
«Sono un centrocampista, poco fisico e molto tecnico, con un’ottima visione di gioco. Mi piace avere sempre il pallone tra i piedi, il tiro da lontano è la mia specialità, spesso calcio anche le punizioni».

È questo il tuo punto di forza, il tiro?
«Sì, il tiro e la tecnica di base».

E se dovessi invece dire il tuo punto debole?
«La fase difensiva, sto migliorando ma ho tanto da lavorare. Per fare il centrocampista nel calcio moderno, servono le due fasi, quella offensiva e quella difensiva».

Quindi sei un centrocampista dal gol facile.
«Quest’anno sono stato fermo tanto, adesso mi sono stirato l’adduttore, prima mi sono fatto male alla caviglia. È una stagione un po’ sfortunata finora, infatti ho fatto solo una decina di gol, di solito segno di più».

Un giocatore a cui ti ispiri?
«Il mio idolo è Barella, ma per come gioco mi ispiro di più a Pirlo o Calhanoglu».

Gli istruttori più importanti che hai avuto?
«Tutti importanti, ognuno mi ha insegnato qualcosa di utile nel mio percorso di crescita. Il mio primo mister è stato Camillò, mi ha insegnato le basi. Poi ho avuto Zaccone, sempre al Bsr Grugliasco, da lui ho imparato la grinta, a dare tutto in campo. Al Lascaris ho avuto Gilli per tre anni, lui mi ha insegnato a prendermi le responsabilità, a essere leader in campo. Ghirelli, sempre al Lascaris, puntava molto su grinta e sacrificio. Adesso mi allena Baston, che è molto bravo e completo, i suoi insegnamenti riguardano tutti gli aspetti del calcio, la tecnica ma anche la tattica di squadra».

In questo percorso di crescita, c’è anche l’Individual Soccer School.
«Lavoro con l’ISS da tre anni e mi trovo benissimo, mi alleno il giovedì con Giordano, Enzo, Cristian Fabrizio, sono tutti bravi. Aggiungere un allenamento ai tre che già faccio con la squadra è un sacrificio che faccio volentieri, vuol dire che ho passione e voglia di emergere. Ed è molto utile, perché miglioro nella tecnica di base, imparo soluzioni che poi ritrovo nelle situazioni di gioco. E, come dire, allenarti con l’ISS ti sblocca la testa, ti motiva e ti dà convinzione».

Giochi nel ruolo di Enzo Friso, che da regista è arrivato fino in serie C, dopo aver fatto tutta la trafila delle giovanili con il Torino. Ti darà qualche consiglio...
«Sì, Enzo mi insegna tanto sul ruolo e mi dà tanta sicurezza nei miei mezzi. Mi dice che sono forte, che posso arrivare lontano, ma devo imparare a essere leader in campo, come play devo prendere in mano la squadra. Non è facile, soprattutto in un gruppo nuovo e fortissimo come quello del Chisola, dove sono arrivato solo quest’anno, ma è la direzione in cui devo andare».

I compagni più forti con cui hai giocato.
«Al Bsr Grugliasco Elia Melis, al Lascaris Mattia De Simone, adesso invece sono tutti forti... Diciamo che quelli che mi hanno impressionato di più sono Alessio Granella e Simone Restivo».

Hai qualche scaramanzia?
«No, nessuna».

E cosa ti piace fare fuori dal campo, nei pochi momenti liberi dal calcio?
«A scuola sono bravo, mi piacciono la matematica e le lingue straniere. Alla sera gioco alla play station con mio fratello, lui ha 8 anni ed è molto forte a calcio. Ogni tanto giochiamo insieme con il pallone, anche se mamma non è contenta perché distruggiamo tutto…»

Il tuo obiettivo e il tuo sogno?
«L’obiettivo, naturalmente, è diventare calciatore. Poi sogno di vincere una Champions».

INTERVISTA - Il giovane centrocampista si racconta: «Ho iniziato allo Spazio Talent Soccer, poi Lascaris e ora Lucento con Marco Olivieri. Mi ispiro ad Andrea Pirlo, Enzo Friso mi spiega il ruolo con la sua esperienza, da Giordano Piras ho imparato a muovere palla velocemente. Sogno la serie A».


Manuel, raccontaci il tuo percorso nel mondo del calcio.
«Ho iniziato a 6 anni allo Spazio Talent Soccer, dove sono stato per quattro anni. Poi due stagioni al Lascaris, che ho scelto su consiglio di Enzo Friso. Questa estate sono passato al Lucento, squadra ambiziosa dove mi sto trovando molto bene».

Come sta andando la stagione, a livello personale e di squadra?
«Molto bene. Siamo arrivati in finale al SuperOscar, purtroppo abbiamo perso con il Chisola. Adesso siamo secondi a pari merito con il Vanchiglia, a due punti dal Pinerolo capolista, vogliamo qualificarci per le fasi finali. Io sto giocando con continuità nel ruolo di play, sono un giocatore tecnico più che un mediano che recupera palloni. Mi trovo bene con il mister Marco Olivieri, mi piace la sua idea di gioco. È un perfezionista, studia le partite degli avversari e in allenamento lavoriamo sui loro punti deboli, ci alleniamo per sconfiggerli».

Sei un giocatore tecnico, dicevi. Quali sono i tuoi punti di forza e su cosa invece devi migliorare?
«Il mio punto di forza è la tecnica, mi posiziono davanti alla difesa con il compito di far girare il gioco della squadra. Il mio punto debole è la fisicità, sono un po’ piccolo, ma grazie alla tecnica riesco ad aggirare anche gli avversari più grossi».

Un giocatore di riferimento?
«Il mio giocatore preferito è Andrea Pirlo. Tra quelli in attività mi piace Jude Bellingham, anche se è molto più offensivo di me».

Parli molto di tecnica. Da questo punto di vista, gli allenamenti con l’Individual Soccer School ti aiutano?
«Sì, lavoro con Giordano Piras, Enzo Friso e il loro staff da quando ho iniziato a giocare, questo è il mio quinto anno con loro. Mi hanno insegnato tantissimo non solo a livello tecnico, ma come stare in campo, i movimenti migliori per smarcarmi e ricevere il pallone, come vedere il gioco».

Con chi ti alleni?
«Non ho un mister predefinito, in base al lavoro da svolgere ci sono diversi istruttori. Sicuramente Enzo Friso mi dà molti consigli, lui ha giocato una vita nel mio ruolo, o meglio io gioco nel suo. Ha molta esperienza, mi aiuta tanto. Da Giordano Piras ho imparato il dribbling nello stretto, a muovere palla velocemente. Da tutti imparo qualcosa che poi ritrovo in campo, durante le partite. È un percorso che consiglio a tutti, aiuta anche a livello mentale e di convinzione, perché la testa è fondamentale per giocare a calcio».

Altri allenatori a cui sei particolarmente legato?
«Il mio primo allenatore allo Spazio Talent Soccer Giovanni Lo Re, che adesso allena al Centrocampo, mi ha insegnato le basi. E Umberto Santoro, al Lascaris, mi ha fatto crescere nel carattere e mi ha dato fiducia».

I compagni con cui ti trovi meglio, o ti sei trovato in passato?
«Mi trovo molto bene con Martino Bertacche, molto simpatico, ci carichiamo prima delle partite, e anche con Cristian Rametta, ma in generale sto bene e sono amico con tutti i compagni del Lucento. Del passato dico Giorgio Micari, adesso al Cenisia, siamo amici e anche lui si allena con l’Individual Soccer School».

Il più forte della tua annata?
«Il portiere Andrea Galavotti, eravamo insieme allo Spazio Talent Soccer, ora lui gioca alla Juve. Fortissimo».

Obiettivi e sogni?
«L’obiettivo è giocare nel professionismo, anche per superare mio zio che ha giocato in serie D. Il sogno naturalmente è arrivare in serie A e vincere la Champions».

Hai le idee chiare… E fuori dal campo, cosa ti piace fare?
«La scuola è importante, sono in terza media e vado bene, l’anno prossimo farò il liceo scientifico al Volta. Mi diverto alla playstation e amo tutti gli sport».

INTERVISTA - Centrocampista classe ’98 cresciuto nelle giovanili della Juventus, oggi gioca in serie D e fa l’istruttore a Pianezza: «È una passione, perché starei tutto il giorno con il pallone. Con l’allenamento individuale, basato sull’analisi e la scomposizione del gesto e sempre finalizzato alla partita, si può incidere davvero sulla crescita dei ragazzi e sulla loro carriera»


«Quando, spero tra tanti anni, smetterò di giocare, non credo che farò l’allenatore di una squadra. Ma continuerò sicuramente come istruttore con l’Individual Soccer School. Io personalmente ho imparato tantissimo con Giordano Piras ed Enzo Friso, ancora adesso mi alleno con loro, quando posso. Mi piace trasmettere ai più giovani tutte quelle che sono le mie conoscenze. Lavorando con un solo allievo per volta, riesco a incidere molto di più nel suo percorso di crescita».

Parole e musica di Federico Nacci, centrocampista classe ’98 cresciuto nelle giovanili della Juventus (più un anno al Torino), protagonista di una importante carriera tra la serie C e la serie D con le maglie di Pisa, Paganese, Lecco, Bisceglie, Campobasso, Chisola, Vastese, PDHAE e, nella stagione attuale, Arconatese

«In questi anni - racconta - mi sono divertito molto e ho vissuto tante esperienze. L’obiettivo di questa stagione era salire di categoria e tornare nel professionismo, purtroppo non siamo partiti bene e sarà difficile riuscirci. Ma devo dire che a livello personale mi trovo bene, gioco sempre, la società è seria e siamo un bel gruppo, con un allenatore che è ad Arconate da più di 10 anni, una rarità nel mondo del calcio».

Di fianco alla carriera calcistica, Federico Nacci ha sempre mantenuto un rapporto speciale con l’Individual Soccer School, centro di formazione tecnico-individuale con sede centrale a Pianezza e poli dislocati in tutta Italia e in Europa: «Ho frequentato il corso base per diventare istruttore e partecipo agli incontri di aggiornamento, in modo da essere sempre informato sulle nuove metodologie e da arricchire il mio bagaglio tecnico. Da quattro anni partecipo alle settimane di formazione tecnico-calcistica estive, finora sempre in Trentino, mentre so già che nell’estate 2025 andrò in Repubblica Ceca dal 7 al 16 luglio a lavorare con allievi del posto. Inoltre tutti i lunedì, il mio giorno libero, sono a Pianezza ad allenare i nostri ragazzi. Mi accorgo con il passare del tempo che più alleni e più diventi bravo a farlo. È una passione, perché starei tutto il giorno con il pallone nei piedi. Mi piace trasmettere tanti concetti ai giovani, spero così di poter essere utile alla loro crescita e alla loro eventuale carriera».

Uno stage estivo, per quanto intensivo, è diverso dall’allenamento individuale settimanale per tutta la durata della stagione: «La prima differenza - spiega Nacci - è tra il lavoro di gruppo e quello individuale, un istruttore con un allievo. Per quanto ci siano dei principi comuni, è inevitabile che nelle sedute individuali ci sia una maggior attenzione per i dettagli, per le lacune degli allievi, per i miglioramenti da attuare. In una settimana di gruppo intravedi qualcosa nonostante il lavoro svolto sia ottimo, in una stagione intera invece ti accorgi di progressi evidenti sotto tutti gli aspetti: dalla tecnica di base all’intensità delle esercitazioni, dalla consapevolezza nei propri mezzi alla crescita mentale, che è fondamentale».

Sempre utilizzando il metodo basato sull’analisi e la scomposizione del gesto. «Per esempio, in un classico gesto di superamento frontale - il cosiddetto doppio passo, che in gergo ISS chiamiamo “avvolgo e sposto” - non sono coinvolti solo piedi e gambe, ma le spalle, le braccia, lo sguardo, tutto il corpo. Per eseguirlo correttamente, è necessaio prestare attenzione a ogni minimo dettaglio e correggere analiticamente ogni passaggio in cui è scomposto il gesto tecnico, anche e soprattutto attraverso la dimostrazione che noi istruttori eseguiamo. Nel corso della seduta, quel gesto viene effettuato in movimento, successivamente in situazioni di gioco attraverso apposite esercitazioni, con velocità e difficoltà sempre crescenti».

«Essere ancora in attività come calciatore - continua Nacci - mi aiuta ad entrare in sintonia con gli allievi: spesso mi raccontano una situazione che hanno vissuto in partita e dal momento che io mi sono trovato ad affrontare situazioni simili, si crea subito feeling. Alla fine siamo colleghi, ci capiamo velocemente, mentre un allenatore - soprattutto nelle squadre - ha inevitabilmente un punto di vista diverso, che non è quello del campo. Allo stesso modo, se in settimana sì è lavorato sul  tiro in porta e il ragazzo racconta che ha fatto gol da lontano, è una soddisfazione unica davvero. In questo senso il lunedì, il giorno dopo la partita, è perfetto».

Anche perché la partita è sempre l’obiettivo finale degli allenamenti dell’Individual Soccer School, che non vuole formare giocolieri, bensì giocatori di calcio completi. «Esatto, noi proponiamo allenamenti a ritmo molto alto, creando il più possibile situazioni che si avvicinano alla gara. Io sono un centrocampista centrale che gioca sempre con la testa alta, per cercare di visionare  tutto quello che succede in campo. All'interno delle nostre sedute di allenamento presentiamo all'allievo numerose difficoltà che in partita corrispondono agli avversari; più aumentano le difficoltà e più le esercitazioni si avvicinano a quello che ti può presentare la domenica. Se abituiamo i ragazzi a ricercare e a trovare soluzioni sempre diverse in base a ciò che accade, a testa alta e con un ritmo alto, aiuteremo loro a riportare tutto ciò che hanno acquisito durante i loro match».

INTERVISTA - Il centrocampista classe 2004, che oggi gioca al Fiorenzuola in serie D, si racconta: «Nel calcio moderno bisogna essere duttili: il mio ruolo è il trequartista, ora faccio l’esterno a tutta fascia e mi trovo bene. Christian Viola, Marco Didu e Gennaro Ruotolo sono gli allenatori a cui devo di più. Mi alleno con Giordano Piras da quando avevo 6 anni e torno da lui ogni volta che posso, mi aiuta dal punto di vista tecnico e per visualizzare la giocata più velocemente».


Jacopo, raccontaci il tuo percorso calcistico fin dall’inizio.
«I primi calci al pallone li ho dati al Lascaris, quando avevo 5/6 anni. A 7 anni mi ha preso la Juve e sono rimasto lì fino a 14 anni. Poi sono andato al Chieri, dove ho giocato per tre stagioni in Under 16, poi direttamente in Juniores nazionale e in Prima squadra. Da lì sono tornato nel professionismo, al Genoa, un anno in Under 18 con mister Gennaro Ruotolo, il secondo in Primavera prima con Alberto Gilardino, poi con Alessandro Agostini: abbiamo vinto il campionato e siamo saliti in Primavera 1. Nella scorsa stagione ho giocato a Forlì in prestito, un bel campionato in cui abbiamo sfiorato i playoff, e adesso sono al Fiorenzuola, sempre in serie D».

Avanti e indietro con il professionismo.
«Quando la Juve non mi ha confermato ero ancora piccolo, sono andato a Chieri con lo stimolo di tornare nei professionisti, l’ho presa nel modo giusto e ci sono riuscito. L’anno scorso passare dal Genoa a Forlì non è stato facile, ma trovo che la serie D è molto formativa, è un campionato più difficile rispetto alla Primavera: fin dall’esperienza a Chieri, trovo che in Prima squadra cambia il ritmo, c’è più intensità. L’obiettivo ora è salire di una categoria, possibilmente con la squadra, altrimenti da solo, ma vorrei misurarmi con la serie C».

Come sta andando la stagione?
«Mi trovo bene, sto giocando tutte le partite. Faccio il quinto a sinistra nel 3-5-2, mi tocca correre tanto ma ho già fatto due assist».

L’esterno non è il tuo ruolo naturale, giusto? Anche se nel calcio moderno bisogna essere duttili e versatili.
«Da piccolo ho iniziato come esterno offensivo, ma poi ho sempre fatto il play. Negli anni ho cambiato molto: a Chieri facevo principalmente la mezzala, al Genoa ho fatto il trequartista con Ruotolo, poi l’esterno del 4-3-3 in Primavera, ruolo che ho ricoperto anche l’anno scorso. Adesso faccio il quinto, mi adatto alle esigenze del mister».

Ma a te cosa piace di più?
«Forse il mio ruolo naturale è il trequartista, ma mi sto divertendo anche a tutta fascia».

Facciamo un passo indietro: nella tua crescita come giocatore, ti sei formato nei contesti migliori, a partire dalla Juventus.
«Molto importante soprattutto a livello di esperienze: tante trasferte lontano da casa, grandi tornei all’estero, ho giocato contro le società più importanti del mondo, come Chelsea e Manchester City. Ma per capire come funziona il calcio “vero”, niente vale come l’esperienza in prima squadra».

Parallelamente al lavoro con le squadre, ti sei sempre allenato con l’Individual Soccer School.
«Sì, mi alleno con Giordano Piras da quando ho sei anni e continuo ancora oggi. Ho saltato solo i periodi in cui ero troppo lontano da casa, Genova e Forlì, ma nei giorni liberi andavo sempre. È un aiuto fondamentale dal punto di vista tecnico, e anche per visualizzare la giocata più velocemente rispetto alle situazioni: come dice lui, è la tecnica applicata alla partita».

Quindi ritrovi in partita le situazioni che prepari in allenamento.
«Sì, non devo neanche pensarci, perché sono giocate che, a forza di prepararle, mi vengono spontanee. Non va a intaccare il lavoro fatto con la squadra, per esempio dal punto di vista tattico, è un input in più che si affianca perfettamente al lavoro di gruppo».

Gli allenatori più importanti che hai avuto?
«Cristian Viola e Marco Didu, di sicuro, che mi hanno dato fiducia in prima squadra a Chieri. Poi dico Ruotolo, quella con il Genoa Under 18 è stata forse la mia stagione migliore, anche a livello realizzativo».

I compagni più forti con cui hai giocato?
«Il più forte è Luis Hasa negli anni della Juve, ora gioca a Lecce. Come intesa in campo Matteo Manfredonia e Federico Accornero, tutti e due del Genoa».

Con chi ti piacerebbe giocare?
«Ce ne sono mille… Il mio idolo è Cristiano Ronaldo, modello di mentalità. Come giocatore, mi sono sempre ispirato a Iniesta. Adesso che faccio l’esterno, mi piace Di Marco, guardo i suoi video».

Prossimi obiettivi della tua carriera?
«Come dicevo prima, quest’anno l’obiettivo è far bene e salire di categoria. Prima o poi, mi piacerebbe un’esperienza all’estero, dove c’è maggiore fiducia nei giovani, ma non dipende troppo da me».

Ultima domanda. Quando non giochi a pallone, cosa ti piace fare?
«Faccio una vita molto regolare, ci alleniamo tutti i pomeriggi, di solito la sera sto a casa con i compagni di squadra con cui convivo. Al mattino studio, faccio l’università online, scienze della comunicazione e organizzazione con indirizzo calcistico. Un’alternativa, ma sempre nel mondo del pallone».

 

 

A SCUOLA DI CALCIO - La sequenza di sei immagini rappresenta l’esecuzione di un controllo di esterno controbalzo a seguire. Disegno: C.B


Il controllo di esterno-controbalzo, in qualsiasi zona del campo o situazione, può essere scomposta in tre fasi.

VALUTAZIONE TRAIETTORIA-PREPARAZIONE

Per controllare una palla alta è fondamentale la capacità di valutare la traiettoria. Durante la fase di volo il giocatore valuta sia la traiettoria (il punto in cui cadrà il pallone) sia la successiva scelta (in base al posizionamento dei compagni, alla presenza di un eventuale avversario o di uno spazio libero). Una volta scelto il tipo di controllo da effettuare inizia la vera e propria fase di preparazione.

Lo sguardo è fisso sul pallone; il braccio opposto alla direzione di provenienza dello stesso è largo e fornisce protezione. Il corpo e le spalle ruotano frapponendosi tra la palla e un eventuale avversario.

CONTROLLO

Nel momento appena precedente al rimbalzo, lo sguardo è ancora fisso sul pallone e il braccio opposto (in questo caso il sinistro) rimane in protezione; il corpo e il ginocchio si abbassano sopra l’asse del pallone.

Subito dopo il rimbalzo l’esterno del piede (con la punta rivolta verso l’alto e con la parte anteriore) impatta la parte superiore del pallone; al momento del contatto il ginocchio, le spalle e il busto si orientano verso la direzione in cui si desidera indirizzare il controllo mentre la testa e lo sguardo si alzano.

PROSECUZIONE

Dopo il controllo il pallone rimane a disposizione e la gamba opposta (sinistra) si posiziona immediatamente in copertura. In questo modo sarà possibile proseguire la corsa con una conduzione o eseguire un qualsiasi gesto tecnico.

 

PRESENTAZIONE - Il presidente: «Ognuno secondo il suo livello, chi in serie A e chi in Promozione, ma formiamo i ragazzi come professionisti, non solo nella tecnica e nella tattica individuale, ma anche a livello umano e caratteriale. Come? Un istruttore per un allievo, scomposizione del gesto tecnico, correzione analitica, sempre con l'obiettivo della partita, sempre rispettando l'unicità di ogni ragazzo»


Un istruttore per un allievo, scomposizione del gesto tecnico, correzione analitica: le tre regole auree scolpite sulle tavole della legge dell’ISS - Individual Soccer School- sono le stesse ormai da 14 anni, ma si evolvono ogni giorno, si adeguano alle dinamiche di un calcio sempre più fisico e veloce, ai cambiamenti di una società che forma ragazzi (e genitori) con aspettative sempre crescenti. L’obiettivo finale rimane la partita: non il gesto tecnico fine a se stesso bensì la capacità di riproporre quella giocata nel contesto di gioco. E, soprattutto quando si parla di ragazzi e ragazze, aspetti fondamentali sono la sicurezza, l’autostima e la crescita non solo nel calcio, ma nella scuola e nella vita di tutti i giorni. Senza mai dimenticare il divertimento: alla fine, parliamo di calcio, il gioco più bello del mondo.

I NUMERI DELL’ISS

Riassumere in poche parole il mondo ISS è difficile, quasi impossibile. Lo dicono i numeri: «Oggi abbiamo circa 20 strutture in Italia e qualche altra all'estero, in Francia, Repubblica Ceca e Romania, che collaborano con noi. Un centinaio di istruttori, tutti formati nella nostra accademia, che utilizzano il nostro metodo e con cui ci confrontiamo di frequente. E indicativamente almeno tremila ragazzi e ragazze all’anno. In tutto, tra allenamenti e stage estivi, hanno conosciuto il mondo ISS quasi 30mila atleti, di questi un buon numero ha fatto una carriera nel professionismo, dalla Lega Pro alla serie A» racconta Giordano Piras, che gestisce l’Individual Soccer School insieme ad Enzo Friso. 

Il campo centrale rimane quello del “Nuovo Musinè Sport Village” di Pianezza, dove si svolgono anche i corsi di formazione per gli istruttori: «Non bastano mai, chi vuole provare ci contatti». In Piemonte c’è anche San Francesco al Campo, poi Charvensod e Saint Christophe in Valle d’Aosta, quattro strutture in Lombardia, tre in Veneto di cui una dedicata al femminile, due in Trentino, due in Alto Adige, una in Emilia-Romagna, in Liguria e in Valle d’Aosta, poi due in Sardegna e altre quattro in Sicilia.

CENTRO DI FORMAZIONE

Come si spiega un successo del genere in un mondo calcistico nel quale le scuole “individuali” spuntano come funghi in autunno? La risposta di Giordano Piras: «Il concetto di individual, che 14 anni fa era rivoluzionario, oggi non è sufficiente a spiegare tutto il lavoro che viene fatto all’ISS. Noi siamo un vero e proprio centro di formazione, nel senso che formiamo il ragazzo non solo a livello di tecnica e tattica individuale, ma anche a livello umano, come professionista. Sia chiaro, non vuol dire che chi si allena con noi giocherà nel calcio professionistico. Noi formiamo i nostri allievi così come si formano i calciatori professionisti. I nostri ragazzi diventano calciatori, a prescindere dal livello che raggiungeranno, che dipende da numerosi altri aspetti e ovviamente dalle doti naturali: chi in serie A, chi in serie D, chi in Promozione. Come una scuola di formazione, noi prepariamo i ragazzi a entrare nel mondo del lavoro, che in questo caso è lo sport. E quando abbiamo a che fare con atleti più grandi, cerchiamo di perfezionarli».

IL METODO DI LAVORO

Provare per credere. Il metodo di lavoro dell’ISS, che emerge evidente in campo, è ben più difficile da spiegare a parole. «Noi insegniamo - ci prova Giordano Piras - la gestualità tecnica in una progressione che ti porta fino alla partita. Il nostro metodo non è fine a sé stesso, ma sempre in funzione di qualcosa che succederà successivamente, come un passaggio, un dribbling, un tiro o un movimento di un compagno o di un avversario. Insegniamo il gesto tecnico in rapporto alle situazioni che si possono creare in partita: se l' avversario ti attacca da una parte o dall’altra, se vieni spinto o se giochi su un terreno sintetico o in erba naturale…»

Il dettaglio: «Non si tratta solamente di scomporre il gesto tecnico per insegnarlo e perfezionarlo, dall’inizio alla fine; noi viaggiamo al contrario, partiamo dalla fine, dalla partita. Osserviamo il gesto visto in partita e lo scomponiamo fino alla base. Questo è il dogma della nostra metodologia. Utilizziamo il metodo un istruttore per un allievo, ma il nostro segno distintivo è la correzione analitica del gesto portata all’esasperazione, fino al minimo dettaglio: come toccare la palla, come mettere il piede, il movimento del corpo, delle braccia, la gestualità e anche l’espressione, sempre - ripeto - in rapporto alla partita. A conferma della bontà del nostro metodo, durante i nostri corsi di formazione, i partecipanti già arricchiti da altre esperienze apprezzano la qualità della nostra metodologia, riconoscendo la diversità dei lavori proposti. Fondamentale è anche la dimostrazione del gesto da parte degli istruttori, perché l'esperienza insegna che un allievo apprenda più velocemente se vede eseguito correttamente il gesto tecnico e a sua volta lo ripete all'infinito, inizialmente a velocità ridotta, poi a intensità sempre più alta, fino a raggiungere i ritmi che dovrà sopportare durante una gara».

I RAGAZZI AL CENTRO DEL VILLAGGIO

Al centro di ogni discorso ci sono loro, le ragazze e i ragazzi: «Anni fa ci frequentavano per imparare a giocare a calcio - conclude Giordano Piras -, adesso ci cercano perché vogliono ampliare il loro bagaglio tecnico e migliorare e perfezionare le loro qualità, per sognare il grande salto verso il professionismo. Ma non bisogna mai dimenticare che la media nazionale rivela che un calciatore su tredicimila riesce a trasformare il sogno in realtà. ISS garantisce il miglioramento dei suoi allievi, non certo che diventino calciatori professionisti. Migliorare dà sicurezza, autostima, aiuta nei rapporti con i compagni di squadra, fa crescere non solo nel calcio, ma nella scuola e nella vita di tutti i giorni. Nei nostri allenamenti il cervello lavora velocemente, sei sempre messo in difficoltà e devi ricordare gesti e movimenti. E infine devi credere in te stesso. Ogni ragazzo è una storia a sé, una sua eccezionalità e come tale la trattiamo. Se ogni nostro allievo non si sentisse unico, non potremmo mai avere questi risultati».

INTERVISTA - Conclusa un’altra settimana di formazione tecnico-calcistica a Vahrn, l’istruttore (che vanta un’importante carriera tra serie C e serie D) racconta: «Non è un camp estivo basato sul divertimento, qui si lavora, si rispettano le regole, ci si impegna. I ragazzi migliorano grazie a un programma tecnico preciso e collaudato in anni di esperienza. Io ho imparato tanto dall’ISS, ora cerco di trasmettere ai giovani le mie conoscenze»


È finita un’altra settimana di formazione tecnico-calcistica a Vahrn, provincia di Bolzano, in Trentino-Alto Adige: è in questa splendida location che, ormai da 15 anni, Individual Soccer School organizza dei veri e propri ritiri estivi, riservati a giocatori dall’Under 12 all’Under 16, cui nel corso degli anni hanno partecipato numerosi allievi che poi sono diventati calciatori professionisti.

«È il quarto anno che vengo qui ad allenare, per me è una passione che affianco all’attività agonistica. È come un ciclo, una ruota: io ho imparato tantissimo allenandomi con ISS, poi vengo qui in montagna e cerco di trasmettere ai più giovani tutto quello che so». A raccontare “dal di dentro” l’esperienza estiva proposta dall’Individual Soccer School - centro di formazione individuale con sede centrale a Pianezza e poli dislocati in tutta Italia e in Europa - è Federico Nacci. Centrocampista classe ’98 cresciuto nelle giovanili della Juventus (più un anno al Torino), protagonista di una importante carriera tra la serie C e la serie D con le maglie di Pisa, Paganese, Lecco, Bisceglie, Campobasso, Chisola e Vastese: «In questi anni - racconta – mi sono divertito molto e ho vissuto tante esperienze. Nella scorsa stagione ho giocato ad Aosta, l’anno prossimo mi trasferirò in Lombardia, in una società importante di serie D, con l’obiettivo di salire di categoria».

Nella carriera di Federico Nacci, l’ISS è una costante: «Con Giordano Piras ed Enzo Friso mi sono allenato e ancora adesso mi alleno con loro, quando posso. Ho fatto il corso da istruttore e partecipo ai corsi di aggiornamento, in modo da essere sempre informato sulle nuove metodologie e da arricchire il mio bagaglio. Mi sarà utile per il futuro, anche se adesso penso solo a giocare. Però d’estate, ormai da quattro anni, partecipo alle settimane di formazione tecnico-calcistica: è una passione, perché starei tutto il giorno con il pallone, e mi piace trasmettere qualche concetto ai giovani, spero di poter essere utile alla loro crescita e alla loro carriera».

Ma come funziona? «La prima cosa che è importante chiarire - spiega Nacci - è che questi non sono camp estivi per divertirsi e passare il tempo, i ragazzi che partecipano sanno di non andare all’oratorio, ovviamente con tutto il rispetto per chi propone attività ludica. Qui si lavora, si rispettano le regole, ci si impegna. All’ISS si formano calciatori, l’obiettivo è migliorarsi, è tutta un’altra cosa».

Le settimane di formazione targate ISS seguono un programma tecnico preciso e collaudato in anni di esperienza diviso in 5 categorie: dominio palla e sviluppo coordinativo; cambi di direzione, frenate e ripartenze; tecnica di base, trasmissione e ricezione della palla; finte e dribbling, tecnica estrosa; tattica individuale, in situazioni di gioco. All’interno di ciascuna categoria, ogni giorno vengono individuati alcuni obiettivi da raggiungere, che cambiano di volta in volta.

«Due ore e mezza di allenamento al mattino, pausa per il pranzo e il riposo, altre due ore e mezzo in campo al pomeriggio. Iniziamo con il riscaldamento, per esempio nella lezione dedicata ai dribbling si fanno i movimenti sul posto. È il nostro metodo, basato sull’analisi e la scomposizione del gesto: in un doppio passo - che in gergo chiamiamo “avvolgo e sposto” - non sono coinvolti solo piedi e gambe, ma le spalle, le braccia, lo sguardo, tutto il corpo. Per farlo bene, bisogna curare ogni minimo dettaglio e correggere analiticamente ogni passaggio in cui è scomposto il gesto tecnico. Poi, nel corso della seduta, quel gesto viene fatto in movimento, poi in situazioni di gioco tramite apposite esercitazioni, poi in situazioni di squadra, e nel pomeriggio riproposto negli 1 contro 1, con i tiri in porta, nelle partitelle che chiudono la giornata. È difficile da spiegare, molto meglio vederlo sul campo, anche attraverso la dimostrazione che noi istruttori proponiamo. Con le inevitabili semplificazioni, è così che si svolge la nostra giornata di allenamento, sempre con il metodo ISS, obiettivi specifici e istruttori formati».

E come rispondono i ragazzi? «Noi cerchiamo di proporre una settimana che sia veramente formativa, affinché i ragazzi tornino a casa con qualcosa in più. Loro rispondono alla grande: il livello è medio/alto, per quanto ci siano differenze di età e di preparazione tra i 40 partecipanti, ma a tutti non mancano curiosità, impegno e concentrazione. In campo cercano di trarre il massimo da ogni seduta, fuori dal campo sono davvero educati e ordinati, ma qui siamo vicini all’Austria e la mentalità è quella… Insomma, viviamo tutti insieme un vero e proprio ritiro con il calciatore al 'centro del villaggio'».

ESTATE - Sono dei veri e propri ritiri calcistici quelli organizzati da ISS: programma tecnico, obiettivi giornalieri, regole e disciplina. «Poi i ragazzi e le ragazze si divertono, perché giocare a calcio è la cosa più bella del mondo - spiegano Giordano Piras ed Enzo Friso - ma non vengono da noi per divertirsi. All’ISS si formano calciatori, l’obiettivo è migliorarsi, è tutta un’altra cosa»


Non chiamateli camp estivi. Sono settimane di formazione tecnico-calcistica, organizzate come dei veri e propri ritiri, quelle organizzate dall’Individual Soccer School, centro di formazione individuale con sede centrale a Pianezza e poli dislocati in tutta Italia e in Europa. «Poi i ragazzi e le ragazze si divertono, perché giocare a calcio è la cosa più bella del mondo - spiegano Giordano Piras ed Enzo Friso - ma non vengono da noi per divertirsi. All’ISS si formano calciatori, l’obiettivo è migliorarsi, è tutta un’altra cosa».

PROGRAMMA TECNICO E OBIETTIVI GIORNALIERI

Le settimane di formazione targate ISS seguono un programma tecnico preciso e collaudato in anni di esperienza diviso in 5 categorie: dominio palla e sviluppo coordinativo; cambi di direzione e frenate; tecnica di base; finte e dribbling; tattica individuale. All’interno di ciascuna categoria, ogni giorno vengono individuati alcuni obiettivi da raggiungere, che cambiano di volta in volta. «Se un allievo vuole partecipare a più di una settimana - spiegano gli organizzatori - affronterà allenamenti sempre diversi, perché cambiano gli obiettivi specifici di ogni seduta, ma all’interno dello stesso programma, che è lo stesso in tutta Italia. Lavoriamo con il metodo ISS, in campo ci sono solo istruttori formati da noi e chi sceglie la nostra proposta pretende un livello di qualità altissimo ed è nostro compito garantirlo».

Per i ragazzi e le ragazze che partecipano è come vivere un vero e proprio ritiro estivo di una società professionistica: «Non facciamo passeggiate, non andiamo in piscina, solo calcio ad alto livello. Il programma della giornata - continuano Giordano Piras ed Enzo Friso - prevede due ore e mezza di allenamento al mattino, un’ora al pomeriggio e poi un’altra ora di partite; una parte a tema rispetto agli obiettivi di giornata e un’altra in cui lasciamo libertà all’estro e alla fantasia dei ragazzi. Il pranzo si consuma tutti insieme con menù concordati con la nutrizionista sportiva; i momenti di riposo e le pause sono prestabiliti. A fine giornata analizziamo, all' interno di una riunione tecnica, la seduta di allenamento appena terminata con una finestra su quella del giorno successivo. Dopo cena, un’ora di svago e alle 22 si spengono le luci. Orari rigidi e regole da rispettare: un vero e proprio ritiro con il calciatore al 'centro del villaggio'».

DATE E LUOGHI

Vahrn (Varna, in italiano), provincia di Bolzano, in Trentino-Alto Adige, vicino alla città di Bressanone: è in questa splendida location che, ormai da 15 anni, Individual Soccer School organizza le due settimane di alta formazione tecnico-calcistica di riferimento; nel corso degli anni hanno partecipato a questa esperienza numerosi allievi che poi sono diventati calciatori professionisti. Una settimana (dal 30 giugno al 6 luglio) è dedicata al calcio maschile: 60 giocatori ammessi, dall’Under 12 all’Under 16, divisi per gruppi in base all’età e al livello di preparazione, seguiti da 6 istruttori tra cui Giordano Piras ed Enzo Friso, i fondatori dell’ISS. E una settimana (dal 7 luglio al 13 luglio), dedicata alle ragazze; non più di 25/30 partecipanti, con Melania Gabbiadini - 121 presenze e 51 gol in nazionale, in bacheca 5 scudetti e tanto altro - tra le istruttrici. Naturalmente sono ammessi sia i giocatori di movimento che i portieri. «Il livello è alto - spiegano gli organizzatori - e parteciperanno molti atleti che già giocano nel professionismo insieme ad altri dilettanti di società importanti in arrivo da tutta Italia».

La proposta estiva di ISS non si limita alle due settimane “top” di Vahrn (qui tutti gli appuntamenti). Nella sede centrale di Pianezza, le settimane di formazione tecnico-calcistica sono fissate dal 17 al 21 giugno e dal 1° al 5 luglio; a San Francesco al Campo dal 10 al 14 giugno e dal 17 al 21 giugno. Con le stesse modalità organizzative e lo stesso programma tecnico, altri appuntamenti sono fissati in Lombardia, Veneto, Trentino, Liguria, Sicilia, Sardegna e anche in Francia. Inoltre, da metà luglio, a Pianezza inizieranno le giornate di pre-ritiro per giocatori che militano in prime squadre, in particolare serie D, con un focus per i professionisti ancora in attesa di collocazione.

Ultima “chicca”: dal 5 al 9 giugno Giordano Piras ed Enzo Friso saranno in Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto (in provincia di Messina) ospiti di uno stage estivo con 50 partecipanti, insieme a Stefano Sorrentino, il portiere che ha parato un rigore a Cristiano Ronaldo in una delle oltre 600 presenze da professionista con le maglie di Torino, Chievo, Palermo, Aek Atene e Recreativo Huelva.

INTERVISTA - Il direttore di gara di Pinerolo (che va verso le 100 presenze in serie A) consiglia «ai calciatori in erba di focalizzarsi sulla loro crescita personale al netto di vittorie o sconfitte, considerare l’errore arbitrale alla pari del proprio e inseguire i propri sogni con rispetto e perseveranza»


Gianluca Manganiello (Pinerolo, 28 novembre 1981) è un arbitro di calcio italiano. Vanta 293 gare arbitrate tra i professionisti, di cui 88 in serie A.

Dalla Can D nel 2007, attraverso la Can Pro e la Can B fino all’esordio nella massima Serie nel 2014 e alla consacrazione in Can A nel 2017; infine anche addetto alla Sala VAR. Quanto è difficile diventare un arbitro del tuo livello?
«Il percorso di maturazione è lungo e tortuoso: passa attraverso errori e la costante formazione. La parte più complessa è quella di mantenere l’equilibrio mentale, non scoraggiarsi davanti a prestazioni negative né esaltarsi davanti a ottime performance. Un altro aspetto fondamentale è la cura del proprio fisico e la costanza negli allenamenti poiché si arriva ai massimi livelli a un’età più avanzata rispetto ad altri atleti. Il percorso di crescita di un arbitro è solitario, perciò imparare ad accettare una sana competizione e saper lavorare sui propri limiti è la chiave per ottenere le proprie gratificazioni».

È più difficile dirigere una gara di campionati minori o di Serie A?
«La difficoltà è di pari livello perché l’esperienza e l’età sono chiaramente differenti. L’adattamento alla nuova categoria non è mai semplice, ma crescere da un punto di vista tecnico-tattico risulta determinante. Le categorie inferiori sono una palestra fondamentale dove sbagliare per imparare è ancora concesso; ai massimi livelli è richiesto un servizio al calcio di alta qualità».

Quale è stata la tua formazione?
«Per i giovani arbitri la sezione di appartenenza è il vero punto di riferimento: anziani, arbitri in categorie superiori sono i nostri formatori. Un continuo confronto e saper accettare le critiche costruttive determinano la crescita dell’arbitro. Risulta altresì importante la visione di partite proprie e altrui per riflettere su episodi e assimilare esperienze che arricchiscono il proprio bagaglio personale».

ISS è un centro di formazione tecnico calcistico nel quale l’allievo è al centro dell'attenzione; esiste qualcosa di analogo per la classe arbitrale? Come viene formato un giovane ragazzo che sogna di diventare arbitro?
«Come detto prima, nella fase iniziale la sezione; successivamente le varie Commissioni Nazionali che con periodici meeting uniscono giovani arbitri per impartire lezioni tecniche».

A proposito di questo argomento, cosa ci consigli di inserire nella formazione dei nostri allievi in rapporto alla relazione con il direttore di gara? E cosa ti senti di dire ai calciatori in erba che ogni domenica si trovano a contatto con gli arbitri?
«Consiglierei di inserire dei corsi specifici sulla conoscenza del regolamento del Gioco del Calcio, questo limiterebbe inutili proteste a fronte di decisioni corrette e potrebbe, inoltre, fornire strumenti per migliorare la squadra stessa. Ai calciatori in erba mi sento di consigliare di focalizzarsi sulla loro crescita personale al netto di vittorie o sconfitte, considerare l’errore arbitrale alla pari del proprio e inseguire i propri sogni con rispetto e perseveranza».

Entriamo nel dettaglio, come è cambiato il calcio dai tuoi esordi?
«Rispetto a 25 anni fa la parte atletica è preponderante, la tecnica non associata a una fisicità non adeguata alla categoria non permette di poterne fare parte. I ritmi di gioco sono notevolmente aumentati, di conseguenza anche la velocità di valutazione dell’arbitro è maggiore. Ad alti livelli, in una frazione di secondo, si possono decidere le sorti di una gara».

Domanda da un milione di dollari: il VAR, quanto e come arriva in vostro soccorso?
«Il Var ha un protocollo chiaro di intervento su specifiche casistiche: per noi arbitri è sicuramente un grandissimo aiuto che permette, nella maggioranza dei casi, di sanare errori incisivi sul risultato. Basti pensare agli errori sul fuorigioco o sulle simulazioni che sono pressoché scomparsi. Rispetto agli anni in cui il Var è stato introdotto, si è fatto un importante percorso di crescita: la sinergia tra arbitro e sala VAR è ormai consolidata, si cerca di restituire in caso di grave errore la verità del campo».

Quanto è affascinante dirigere una partita di cartello? Quali responsabilità ti senti addosso?
«Dirigere in stadi pieni e respirare quell’atmosfera è bellissimo. Oltre ad aumentare la concentrazione e la voglia di far bene, dirigere quelle gare è motivo di orgoglio. Tutti noi lavoriamo per migliorarci sempre e confrontarsi in determinati palcoscenici è sempre stimolante. La responsabilità è tanta, inutile negare che determinate partite cambino anche le sorti “economiche” di una società, ma non si può scendere in campo con questi pensieri, bisogna essere liberi mentalmente per essere il più precisi ed equilibrati possibile in modo da offrire il miglior servizio. Il percorso di crescita di un arbitro passa anche attraverso la capacità di sostenere il peso delle responsabilità senza snaturarsi o spaventarsi.

Quali dettagli ci sono dietro alla preparazione di una gara di Serie A? Studiate le caratteristiche dei calciatori che “incontrerete” la domenica?
«Ogni gara è preparata meticolosamente. Oltre alla conoscenza delle caratteristiche dei calciatori (maturata anche con l’esperienza) prima di ogni gara facciamo un briefing con due Match Analyst che ci forniscono i dettagli tattici e le situazioni più particolari da affrontare, in modo da non farci cogliere impreparati ed anticipare spostamento e lettura calcistica».

Quali sono i particolari sui quali ti alleni durante gli allenamenti? Cambiano in relazione al match che andrai ad arbitrare?
«Sicuramente la settimana della gara affronto allenamenti differenti rispetto alle settimane di “scarico”. Siamo supportati da un modulo di preparazione atletica che definisce i rispettivi programmi. Con il mio preparatore atletico li moduliamo in base alle mie condizioni fisiche. La capacità di ripetere gli sprint (RSA) e una buona base aerobica, ti rende adeguato a svolgere il tuo ruolo. Durante l’anno svolgiamo sessioni di testi atletici per valutare la nostra condizione».

Il direttore di gara ha l'obbligo di mantenere sempre altissimo il livello di attenzione durante i 90': in che modo è possibile? È un aspetto allenabile? Se sì, come?
«Il percorso di crescita di un arbitro passa anche attraverso la capacità di sostenere il peso delle responsabilità senza snaturarsi o spaventarsi. Un mio “maestro” sintetizzava così la difficoltà di mantenere l’attenzione: se in Serie D ti puoi distrarre cinque volte in totale durante la gara probabilmente sei adeguato alla categoria, in Serie A scordatelo! L’attenzione si prepara prima della gara, non durante. Abbandonare pensieri e focalizzarsi esclusivamente ai 90’ di gioco è la chiave. Entrare in partita è come leggere un libro, la differenza però è che non puoi permetterti di rileggere la pagina. Bisogna avere il focus esclusivo e costante. L’attenzione si accresce con il tempo, con la dedizione, con piccoli giochi anche quotidiani. Per esempio, mi viene in mente il semaforo, cercare di capire ed essere immediatamente reattivi quando scatta il verde è una cosa che ogni tanto faccio per gioco ma è finalizzato a curare l’aspetto mentale».

Ti sei mai sentito in difficoltà durante una partita?
«Ci sono state gare assai complesse, che sicuramente mi hanno messo in difficoltà. In questi casi l’unica cosa da fare e stringere ancora di più i denti e svolgere il proprio compito nel miglior modo possibile mantenendo sotto controllo le proprie emozioni. Il bravo arbitro è colui che infonde tranquillità e fermezza al tempo stesso, senza esasperare i toni della contesa e senza essere dittatoriale. Una cosa che aiuta è pensare che alla fine si tratta sempre di un gioco e siamo fortunati a farne parte».

Ora qualche piccola curiosità: quali sono stati il giocatore più corretto, quello con più personalità e quello più forte (ovviamente a tuo parere) che hai arbitrato fino ad ora?
«Il calcio è pieno di persone per bene, tanti capitani si sono comportati come tali, in tutte le categorie ne ho incontrati diversi. Persone che fanno bene al calcio, che mantengono i compagni sotto controllo, che accettano l’errore ed anzi ti rincuorano. Io ho esordito in Chievo-Inter ed il capitano era Zanetti, mi ricordo che fin dal tunnel spese belle parole nei miei confronti e mi mise in condizione di concentrarmi solo sulla gara senza avere “disturbi” da comportamenti impropri da parte dei suoi compagni. Personalità è semplice. Ci sono calciatori che senza parlare fanno la differenza sono con la presenza, Ibrahimovic ne è l’esempio. Il più forte cito sempre Edin Dzeko ma potrei dirne molti. Ero giovane ed arbitrai Roma-Crotone, mi impressionò, faceva quello che voleva con una tecnica sopraffina unita a una potenza atletica disarmante».

Ultima domanda: Gianluca, hai un sogno?
«Cercare di essere sempre adeguato per arbitrare il più possibile ancora. Ho 42 anni ma ancora tanta voglia, anche perché, quando non potrò più scendere in campo, andrà via un pezzo della mia vita e probabilmente mi mancherà tantissimo».