Martedì, 26 Novembre 2024
Alessandro Bellin

Alessandro Bellin

Alessandro Bellin, laureato in Economia, Master in Sportmanagement alla 24ore Business School, Master in Data per lo sport all’Universidad de Palermo (Buenos Aires). Ho 27 anni, 10 anni che alleno. Sviluppatore e organizzatore di progetti e eventi sportivi come Giovani Azzurri. Ex Responsabile settore giovanile Rapid Torino, Team Manager del PDHA la scorsa stagione, direttore sportivo e allenatore alla Bruinese Giaveno quest'anno. La passione che è diventata lavoro.

 

15ª PUNTATA / I LOGHI DI UNA VOLTA - Terzo editoriale dell'economista Alessandro Bellin, che (dopo aver parlato del rebranding delle società e del personal brandig dei singoli atleti) si concentra sulle sponsorizzazioni, fondamentali sostegno per le società sportive grandi e piccole. Non solo negli striscioni e nelle scritte sull'abbigliamento sportivo, ma anche nei canali moderni come i social, è fondamentale il legame con il territorio, con i prodotti e i servizi tipici della zona, con la comunità


La partnership tra il brand di un prodotto non sportivo e un atleta, club o evento sportivo viene comunemente chiamata sponsorship. Nell’area del marketing sportivo è quella che più di tutte rappresenta la potenza del veicolo sport come strumento commerciale. Nella maggior parte dei casi i successi sportivi diventano fondamentali per la reputazione di un marchio, in quanto si distoglie dal contesto puramente commerciale e si lega a una questione culturale, come è accaduto in passato per Mercatone Uno sul body di Marco Pantani, Marlboro sulla fiancata della McLaren di Senna o Buitoni sulla maglietta azzurra del Napoli di Diego Armando Maradona. Esistono dei marchi che scelgono un determinato sport come strumento di comunicazione per rafforzare la propria reputazione, come gli orologi di lusso Rolex che sponsorizzano soltanto sport considerati élitari come la F1, il golf o il tennis, cercando di rafforzarsi nella nicchia di clientela benestante.

Le sponsorizzazioni sono una forma di ricavo fondamentale per le società sportiva dilettantistiche. Nella maggior parte dei casi vengono effettuate da aziende situate sul territorio di competenza, che hanno l’interesse di contribuire al movimento in cambio della visibilità e della promozione del proprio marchio durante le manifestazioni sportive tramite banner, striscioni e scritte sull’abbigliamento sportivo. Le società piccole hanno delle difficoltà a programmare una strategia di sponsorship adeguata, dovuta dalla mancanza di know-how e risorse. Chi riesce però a differenziarsi e programmare può vedere miglioramenti e usufruire del vantaggio creato soprattutto in termine di budget da poter reinvestire. Per le piccole realtà è molto importante la territorialità in quanto il riconoscimento dei valori e della cultura di un territorio possono essere fondamentali per la crescita e la sostenibilità di una squadra. La cura per il territorio crea interesse e movimento che a loro volta generano visibilità da convertire in economia.

In alcune località geografiche, da sempre la popolazione ha una forte consapevolezza dalla propria cultura. Di conseguenza saper valorizzare i propri usi e valori in una squadra-simbolo genera un effetto positivo. L’intensificazione del legame con gli abitanti e con il territorio diventa un passaggio dovuto, infatti da sempre lo sport di concezione europea è legato alla socialità e ai propri usi e costumi.

Il ruolo delle sponsorizzazioni dev’essere quello di rafforzare il legame con le aziende e con i prodotti e i servizi tipici della zona. L’attivazione della sponsorizzazione, ossia l’unione tra società ed aziende, serve per sfruttare al meglio i metodi e i canali di comunicazione, creando un sodalizio tra territorio, aziende e club: questo si può fare utilizzando simboli culturali e legandosi al proprio contesto sociale. Per le società di provincia questo è sicuramente più semplice perché si ha l’opportunità di utilizzare prodotti tipici, comunicare in dialetto locale, far partecipare i giocatori alle tradizioni paesane o agli eventi territoriali. Per le società di città invece bisogna saper sfruttare al meglio le differenze sociali, culturali e i dettagli che rappresentano una determinata zona o quartiere.  Avvicinare la popolazione locale alla squadra aumenta la visibilità e favorisce la ricerca stessa degli sponsor, in quanto saranno molte le aziende che vorranno partecipare alla vita della comunità, sfruttandone un ritorno d’immagine.

Nell’epoca sportiva moderna, soprattutto in tempi di Covid, usufruire dei canali digitali e social è diventato fondamentale per i rapporti di sponsorizzazione, in quanto la mancanza o la diminuzione di persone nei centri sportivi e stadi ha ridotto la visibilità degli strumenti di sponsorizzazione tradizionali. Di conseguenza chi gestisce i canali di comunicazione societari deve riuscire ad integrare nel piano di comunicazione iniziative coinvolgenti per i partner e sponsor.

Lo sport si è evoluto, così come la comunicazione e gli strumenti a disposizione delle società sportive, ma il ri-legame con la territorialità ci riporta ancora una volta a buttare un occhio a quello che succedeva nel passato. In conclusione, possiamo dire che per crescere bisogna ritornare agli sponsor di una volta.

 

10ª PUNTATA / I LOGHI DI UNA VOLTA - Secondo editoriale di Alessandro Bellin (economista con master in sportmanagement e in data per lo sport), che si concentra sui singoli atleti, dopo aver parlato delle società (qui la prima puntata). Fondamentali qualità come notorietà, empatia e rispettabilità, oltre all'impegno sociale, per favorire l'identificazione del pubblico, ma "bisogna saper stare e conversare sui social"


Nello sviluppo della comunicazione e nella gestione di un brand online sono avvenuti e stanno avvenendo continui cambiamenti. Mentre nella fase primaria della nascita dei social media, a cui attribuiamo un periodo di dieci anni fa, l'obiettivo principale era essere presente sui social e sul web, oggi la presenza e l'immagine non sono più sufficienti. Un brand o una persona, attraverso i propri canali, devono riuscire a trasmettere trasparenza e autenticità, che permettono di generare una reputazione positiva, rispettabilità e fiducia. Il concetto di pura immagine che ha dominato i social media nel lustro che va da circa il 2012 al 2017 non è più fondamentale, se non viene integrato con la condivisione, il dialogo e la partecipazione della propria community, intesa come fan o sostenitori che possono essere anche amici e parenti.

Ne è conseguito il cambiamento da marketing tradizionale a "marketing conversazionale" e la comunicazione da unidirezionale a bidirezionale. Una buona strategia di personal branding - cioè la gestione del profilo personale come fosse un'azienda - necessita di un monitoraggio continuo e di una reportistica, di un'interazione costante con la community di riferimento e di un coinvolgimento sempre maggiore degli utenti. Fattori che i migliori sportivi del mondo e i relativi team di gestione hanno saputo cogliere e che hanno permesso a tanti atleti di diventare personaggi pubblici molto seguiti sui social network. In alcuni casi la forte presenza online ha condizionato in maniera positiva la carriera di alcuni sportivi, creando intono alla persona un risalto mediatico che ha permesso di giovarne in termini di contratti ed opportunità maggiori.

È chiaro però che la creazione di un brand personale nasce sempre e comunque in seguito a fattori offline che influiscono sulla notorietà primaria di un’atleta: in alcuni casi, come spesso accade per i grandi campioni di tutti gli sport, l’arrivo da una situazione famigliare di povertà o con grosse problematiche porta negli altri un senso di empatia; indiscutibili capacità tecniche creano notorietà fin da inizio carriera, è più facile ricordare un’atleta forte, così come la vincita di trofei o campionati giovanili o premi individuali; una vita privata regolare soprattutto quando parliamo di atleti a livello top genera nel pubblico un senso di tradizionalità e rispettabilità dovuto alla raffigurazione della vita sana e famiglia tradizionale. I successi in campo influenzano sempre il brand personale, nello sport gli atleti più famosi e più richiesti tendono a essere sempre quelli di maggior successo, perché si avvicinano al concetto di atleta-supereroe in cui il pubblico si identifica.

A qualsiasi livello - parlando anche del nostro calcio dilettantistico - l’importante, oltre a rispettare i valori sopra evidenziati, è sapersi "vendere" online, mettersi in risalto facendo networking, utilizzare i social se si posseggono qualità per potersi mettere in evidenza. Vien da sè, però, che come dicevamo non bastano più la presenza e l’immagine, bisogna saper stare e conversare sui social, costruendosi un personal brand.

Ultimo, ma non meno importante, è l’impegno sociale. Lanciando messaggi e iniziative per i temi sociali più caldi, molti atleti di livello internazionale sostengono i diritti delle classi sociali più deboli e questo permette di migliorare la propria reputazione, soprattutto nell’epoca odierna. Riprendendo il claim usato dal cestista LeBron James bisogna essere “more than athlete”.

Il mondo dello sport per anni ha inseguito atleti superstar, presenti nella vita mondana, circondati dal lusso più estremo e sempre presenti sulle copertine. Oggi invece la community ricerca figure più semplici possibili, umane, più vicine alle persone di tutti i giorni, si è ritornati alla semplicità che contraddistingueva i calciatori/sportivi di una volta.

 

2ª PUNTATA / I LOGHI DI UNA VOLTA - Un'altra novità tra gli editorialisti di giocaacalcio.it. Dopo Mattia Pintus, che ci ha raccontato l'industria dei giovani calciatori in Qatar nella sua rubrica dedicata alle Scuole calcio estere, è la volta di Alessandro Bellin (economista con master in sportmanagement e in data per lo sport), che approfondisce gli argomenti legati al marketing e al branding nel mondo del calcio. Non solo la famosa J, ormai anche le società dilettantistiche se ne stanno occupando: i nuovi loghi di Lascaris e Nichelino Hesperia, le sigle di PSG, PDHAE, BGH...


Sono seduto al tavolino del Bar Sport e sento dei signori discutere. Mi riecheggia nella testa una frase in particolare: “Non c’è più il calcio di una volta, è diventato tutto business”.

Vero, un cambiamento significativo ha colpito il calcio e lo sport negli ultimi anni. La causa è una maggiore complessità nella gestione dei ricavi da parte delle società, che di conseguenza si sono dovute sviluppare sempre più come media company in grado di produrre, gestire e vendere prodotti d’intrattenimento con relativo franchising a seguito. Il cambiamento ha portato a una ristrutturazione e una visione sempre più aziendale rispetto al passato, dove lo sport veniva visto come sola pura pratica sportiva, con poche implicazioni economiche anche a livello professionistico.

La complessità nella gestione dei ricavi per le società sportive è diventata rilevante in tutti i livelli. Nei top club l’organizzazione e il management hanno a disposizione intere aree settoriali con funzioni aziendali e professionisti dedicati, anche se - parlando di sport - si deve sempre tenere conto dell’incertezza del risultato. Nei club delle serie minori invece un’adeguata gestione strategica e l’ottimizzazione dei ricavi può influire anche sul risultato sportivo, soprattutto in un’epoca storica dove ci sono sempre meno presidenti e sponsor che investono grosse quantità di denaro in cambio della sola gloria sportiva.

Siamo passati da una concezione dello sport europea o meglio “alla francese” basato su fattori e variabili come la sociologia, la demografia e il diritto, a una concezione angloamericana, che segue le regole classiche dell’economia, in quanto l’impresa sportiva viene definita come un’impresa che offre un bene sul mercato con lo scopo di massimizzare il profitto. Il cambio di concezione ridefinisce le regole del gioco, i club (anche dilettanti) sono diventati brand con obiettivi di marketing, target e mercati di riferimento, devono saper offrire servizi migliori della concorrenza. La transizione necessità però del supporto di una comunicazione di livello adeguato, con l’obiettivo di migliorare il proprio brand da un punto di vista estetico e di appetibilità; la presenza online è diventata fondamentale, il saper comunicare bene permette di penetrare meglio il mercato e migliorare la percezione esterna del marchio.

Nell’epoca moderna una società che vuole raggiungere un top livello professionistico o dilettante deve investire in comunicazione, i migliori club al mondo stanno investendo sulla propria identità visiva, rendendola più versatile ed efficace.

Raccontando il territorio, quante volte ci capita di vedere la lettera J sui campi dilettantistici piemontesi, che in binomio con Adidas marchia migliaia di tute e magliette di bambini e ragazzi che girano, giocano e si sfidano ogni weekend? L’immaginario comune associa immediatamente la lettera J alla Juve, conseguenza di una strategia di marketing che ha portato nel 2017 la Juventus a sostituire il vecchio logo scudettato in una nuova concezione di brand per una squadra di calcio: una lettera sola, ma inconfondibile, come accade per le iniziali delle grandi franchigie americane di baseball, generando un’associazione spontanea tra lettera e società.

Rimanendo al nostro tanto amato calcio dilettantistico, sono molte le società che negli ultimi anni hanno optato per scelte stilistiche più semplici e lineari: ne sono esempi il restyling del logo del Lascaris bicromatico e lineare, o il Nichelino Hesperia con le nuove NH stilizzate che sostituiscono il vecchio logo. Frequenti anche la scelta di nomi codificati riconoscibili e ricordabili per realtà di provincia unite in sodalizi come il PSG, l’Atletico CBL, il PDHA o la nuova Bruinese Giaveno “BGH”, raggiungendo una maggiore semplicità di nome e un pizzico di “internazionalità”.

La comunicazione e i brand sono diventati minimalisti, la tendenza è un ritorno a un’essenzialità universale, codificando il linguaggio e permettendo di essere facilmente raggiungibile e più versatile possibile verso qualsiasi lingua e/o cultura. Di fatto è un ritorno all’originalità dei loghi di una volta.