Venerdì, 22 Novembre 2024

Luca Valdesi: “La perfezione è una idea, è un lavoro continuo di ricerca e di allenamento per migliorare i propri limiti. Nel karatè come nel calcio”

INTERVISTA - Il campione più titolato nella storia del karatè (il cui figlio gioca nella Spal) si racconta: “Credo fortemente che far crescere i singoli porti l'intera squadra a essere migliore. In questo senso ho sempre pensato che il lavoro fatto con l'ISS sia stato fondamentale per la crescita e la riuscita calcistica di mio figlio”


7 volte campione del mondo, 22 titoli europei di cui 13 individuali consecutivi, 20 volte campione italiano (nessuno nella storia del karatè ha vinto più di te) attualmente direttore tecnico nazionale della FIJLKAM - Federazione Italiana Judo Lotta Karatè Arti Marziali. Qual è stata la tua “ricetta” per ottenere questa straordinaria continuità di risultati?

“Non esiste la ricetta magica. È fondamentale l'allenamento: quando svolgevo attività agonistica effettuavo anche undici sessioni di training a settimana, fermandomi solo al sabato pomeriggio e alla domenica. L'allenamento è la base del successo. Ovviamente la qualità, oltre alla quantità, è fondamentale. E bisogna anche essere fortunati e avere un maestro che ti segue costantemente - per me lo è stato mio padre - e che analizza ogni singolo movimento durante l'allenamento, proprio come in una lezione individuale. C'è anche una componente motivazionale. Non nego che il mio desiderio sia stato quello di essere ricordato dagli altri atleti del mio sport quanto più a lungo possibile. Pensando che molti campioni del passato sono stati dimenticati in breve tempo, mi sono imposto di restare al top il più a lungo in modo da avere contatti con quanta più gente possibile. Può suonare strano, ma questa è stata una delle motivazioni che mi ha spinto a fare bene anche dopo aver vinto tutto”.

Hai fondato la Valdesi Karate Academy (www.lucavaldesi.com) il cui credo è il raggiungimento, attraverso la continua pratica, dello “stile perfetto”, ricercato con un sapiente mix di innovazione (la scienza applicata al movimento) e tradizione. Raccontaci come riesci a fondere magistralmente questi due piani.

“Hai riassunto perfettamente. L'idea è di coniugare la tradizione dell'arte marziale agli studi di biomeccanica e del singolo gesto. All'inizio non è stato facile perché il mondo del karatè è piuttosto conservatore e appariva blasfemo (o quasi) portare innovazione all'interno di una pratica che è considerata una sorta di religione. Tuttavia, a fronte dell'evidenza - della applicazione degli studi sulle leve e sulla forza al gesto tecnico (che non dimentichiamo ha sempre un significato: è espressione di un gesto di combattimento con parate, attacchi, proiezioni) - del fatto che l'efficacia migliorava e diminuiva lo sforzo (e quindi sul piano delle energie spese si poteva dare e fare di più) ecco che è stato accettato questo 'nuovo' metodo; a tal punto che oggi a livello agonistico è il più adottato nel mondo. Nello specifico siamo partiti dalla fisica elementare; dato che al karateka interessa sviluppare una elevata potenza abbiamo fatto ricorso alla semplice formula per cui la potenza è uguale alla forza per la velocità (P = F x V). All'epoca tutti lavoravano sulla forza e la velocità era un argomento difficile da affrontare. I movimenti del karatè sono molto complessi, in cui la 'regolazione fine' è molto importante: se non si sviluppano specifiche capacità cognitive e nello stesso tempo non si eliminano i blocchi, i freni meccanici dati dalle contrazioni errate dei muscoli antagonisti ecco che la potenza subisce un calo importante. L'applicazione di un metodo scientifico ha portato a capire quando attivare determinati muscoli all'interno di una catena cinetica che persegue l'obiettivo di colpire l'avversario. Come ho detto, non è stato facile apportare modifiche alla gestualità. Ad esempio, per anni c'è stata una vera e propria diatriba con i più tradizionalisti sul movimento dei piedi, ovvero, se la rotazione dovesse essere fatta sull'avampiede o sul tallone: alla fine, tuttavia, il risultato fu così evidente che la nostra innovazione è stata accettata da tutti”.

Come spiegheresti, in breve, a un neofita che cos'è lo “stile perfetto”?

“La perfezione è una idea. Teoricamente, quindi, si tende alla perfezione senza arrivarci mai: è un lavoro continuo di ricerca e di allenamento per migliorare i propri limiti. Stile perfetto significa riuscire a fare tutti i movimenti al massimo dell'efficacia con la maggiore energia possibile, senza alcuna sbavatura tecnica. Potremmo dire che si tratti di un concetto ideale. È chiaro che un allenamento corretto permette di avvicinarci quanto più possibile a questa idea”.

Nel tuo libro biografico (Karate icon. Io sono Luca Valdesi, Ultra Edizioni) viene descritto il percorso - netto e lineare - che ti ha portato a diventare una icona, un personaggio-mito nel mondo del karatè, ma allo stesso tempo a coltivare il tuo essere autentico come persona, marito, padre. Cosa consigli ai giovani talenti - esposti alle lusinghe del mondo del calcio - per mantenere la propria autenticità?

“Di restare con i piedi per terra. Dobbiamo ricordare che a parte i fuoriclasse, tutti gli altri affrontano gli stessi sacrifici per arrivare a vincere una gara (anche se non sempre si riesce). Per quanto mi riguarda avendo praticato uno sport individuale - il mio impegno è stato uguale a quello di tutti i miei avversari. Questo porta ad avere un grande rispetto verso gli altri e ti fa comprendere che hai avuto fortuna, che hai capito meglio la metodologia di allenamento, che hai un talento differente, che hai la possibilità di dedicare più tempo perché fai parte di un gruppo sportivo e riesci ad allenarti senza avere altri pensieri. Ne consegue una grande concretezza e umiltà. Mi permetto di dare questo consiglio a tutti gli sportivi, sia a quelli che si avvicinano al mondo del professionismo, sia a chi si è già affermato. Il basso 'profilo' è alla base: in fin dei conti facciamo un lavoro che ci piace, che permette di esprimere noi stessi al meglio e che dobbiamo continuare al massimo delle nostre possibilità. Tuttavia, mi rendo conto che quando subentrano i soldi (tanti soldi) per un ragazzino non sia facile riuscire a gestire uno stile di vita così diverso dal precedente. In questo senso assume un ruolo fondamentale la famiglia, che ti permette di restare con i piedi per terra, di continuare il tuo stile di vita, di ricordarti che non sei un superuomo perché guadagni cifre astronomiche, ma che sei soltanto un atleta che deve fare bene il proprio lavoro. Questa è la mentalità che si deve avere. E poi si deve essere sempre a disposizione di tutti, perché il mondo dello sport è come una ruota che gira molto velocemente. Penso che la famiglia sia ancora più importante nel mondo del calcio, perché i ragazzini di talento vanno via di casa molto presto. Porto l'esempio di mio figlio che a dodici anni si è trasferito a Palermo dai nonni per continuare a giocare in una squadra competitiva: è riuscito a farlo grazie a ciò che gli abbiamo trasmesso fin da bambino. Quando lasci la famiglia e sei un adolescente devi avere alcune certezze consolidate sul piano dei valori. Non è facile, ma bisogna dedicare tanto, tanto tempo ai propri figli”.

Nella tua Academy come si comportano i genitori dei piccoli karateka?

“Nel mondo del karatè il maestro è visto come una figura molto carismatica: ha una responsabilità enorme perché spesso i genitori si basano sulle parole del Maestro per orientare la crescita del proprio figliolo. Per il calcio è diverso, lo sappiamo tutti: in Italia ci sono sessanta milioni di commissari tecnici. Il karatè invece costituisce una nicchia sportiva. Quando il maestro dice una cosa, il genitore - anche se non ne capisce il senso - vi si affida totalmente. Ovviamente questo dà onere ancora più grande al maestro che deve non solo essere preparato, ma in grado di interagire con dei ragazzi”.

Tu hai un figlio che gioca a calcio nella Spal, hai una esperienza da genitore di questo sport: pensi che karatè e calcio possano avere qualche tratto in comune? E cosa manca al calcio?

“Penso che ci siano tanti caratteri in comune. Più mio figlio è andato avanti nel suo percorso di calciatore più mi sono reso conto di come alcuni aspetti fondamentali del modo del karate come la propriocezione (n.d.r. dal latino proprius, appartenere a se stesso - è il senso di posizione e di movimento degli arti e del corpo), l'equilibrio, la stabilità, possiamo ritrovarli nel calcio, anche se a volte è proprio ciò che manca in questo sport. Inoltre, ritengo che debba migliorare sotto il profilo atletico, della mobilità, dell'equilibrio. Spesso i calciatori - anche quelli più bravi - mostrano dei deficit propriocettivi, e di scarsa mobilità che si possono poi tradurre in infortuni. Non so perché, ma nel calcio lo stretching è considerato in modo negativo o trascurato in quanto si pensa che si possa ridurre la potenza massima del gesto. Invece va inteso come un lavoro di recupero, post allenamento. La differenza tra calcio e arti marziali riguarda la valorizzazione dell'individuo: mi rendo conto che il primo in quanto sport di squadra debba puntare al risultato del collettivo. Tuttavia, credo fortemente che far crescere i singoli porti l'intera squadra a essere migliore. In questo senso ho sempre pensato che il lavoro fatto con l'ISS sia stato fondamentale per la crescita e la riuscita calcistica di mio figlio”.

Stile perfetto e calcio: pensi che questo connubio sia possibile?

“Come ho detto poc'anzi, credo che anche nello sport di squadra sia necessario tendere alla perfezione individuale. Abbiamo esempi macro: pensiamo a Cristiano Ronaldo che cura l'alimentazione, le ore di sonno, il recupero, che ha un fisioterapista personale, che si impegna in allenamenti oltre a quelli effettuati con la sua squadra; è la meticolosità e la attenzione a se stesso che portano a divenire atleta perfetto. È chiaro che stiamo parlando sempre di tendere a un obiettivo che si sposta sempre in avanti. Lo ripeto: quello che forse manca in Italia è l'attenzione al singolo calciatore, il comprendere quali siano le sue esigenze psicologiche, tecniche, fisiche. Alcune squadre hanno iniziato a farlo: in ogni caso c'è molto da migliorare”.

LA CARRIERA

Luca Valdesi è nato a Messina nel 1976: rappresenta l'icona del karatè italiano e mondiale. Nessuno nella storia della disciplina ha vinto più di lui. In vent'anni di attività agonistica (si è ritirato nel 2014) ha conquistato 7 titoli di campione del mondo, 22 di campione europeo (di cui 13 consecutivi) e 20 di campione italiano. Attualmente ricopre il ruolo di direttore tecnico nazionale della FIJLKAM - Federazione Italiana Judo Lotta Karatè Arti Marziali.

Ultima modifica il Domenica, 21 Maggio 2023 16:14

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