Lunedì, 25 Novembre 2024
Mercoledì, 02 Marzo 2022 14:14

Allenare la mente lavorando per obiettivi, ma la tensione acritica verso il risultato è uno dei mali del calcio

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16ª PUNTATA / COLPI DI TESTA - Secondo editoriale di Remo Carulli (ex giocatore, docente di psicologia clinica presso l'università IUSTO, psicologo psicoterapeuta, autore Lonely Planet e tanto altro) che, dopo aver chiarito cosa può fare lo psicologo dello sport, spiega la tecnica del goal setting - ovvero la programmazione degli obiettivi - applicata al mondo del calcio: step a breve, medio e lungo termine per coniugare fiducia  e motivazione, ma con la difficoltà di misurarli con criteri oggettivi. Attenzione: la tensione acritica verso il risultato è uno dei mali del calcio giovanile ed è diseducativa


Allenare la mente lavorando per obiettivi

Uno degli strumenti più noti, celebrati, branditi nei proclami degli psicologi degli sport è il cosiddetto goal setting, che, dietro il paravento di professionalità assicurato dall’espressione inglese, da un certo punto di vista non è altro che una banalissima programmazione degli obiettivi. Stabilire degli obiettivi, infatti, ha spesso una grande utilità, come avrà verificato chiunque si sia misurato con un qualsiasi compito, nel calcio, nella scuola o in qualsiasi altro contesto, ricorrendo a tale espediente. Per esempio, immaginiamo una persona completamente digiuna di calcio che voglia imparare a palleggiare: fissare un traguardo specifico, piuttosto che esortare se stessi a fare il meglio possibile, favorirà la motivazione, poiché l’ancoraggio a numeri concreti funge da irresistibile stimolo per la mente.

Banale ma non troppo

Ma quale traguardo porsi? La questione è molto più complessa di quanto possa apparire superficialmente. Se la persona in questione stabilisse come obiettivo quello di fare cento palleggi, il rischio di non essere all’altezza di tale compito sarebbe molto alto. In questi casi il risultato per la mente è nefasto: la distanza tra le proprie capacità reali e le aspettative illusorie genera frustrazione, intacca la fiducia nei propri mezzi, inibisce la motivazione. Porre obiettivi molto alti, nella vagheggiata convinzione che ciò solleciti il desiderio di agire, è l’errore in cui incorrono molti sportivi e allenatori. Tuttavia, anche procedere in direzione opposta, scegliendo obiettivi molto modesti, è causa di problemi: se la persona optasse per il raggiungimento della soglia dei due palleggi, la facilità irrisoria di tale traguardo spegnerebbe immediatamente lo slancio che la programmazione degli obiettivi può imprimere alla motivazione. Come procedere allora? La tecnica del goal setting, che la psicologia dello sport ha mutuato dalle riflessioni della psicologia in ambito aziendale, presuppone una scansione di obiettivi a breve, medio e lungo termine, in modo tale che risultati immediati possano incrementare la fiducia nei propri mezzi e quelli più prestigiosi e dilatati nel tempo mantengano la loro valenza motivazionale. In sostanza, una buona programmazione degli obiettivi presupporrebbe qualcosa del genere: due palleggi entro stasera, dieci entro la prossima settimana, venticinque tra un mese.

I problemi supplementari nel calcio

Le difficoltà per un calciatore o un allenatore di calcio (gli obiettivi possono essere individuali o di squadra) non finiscono qui. Tale modello, infatti, presuppone come principio ineludibile la concreta misurabilità degli obiettivi, per potere monitorare le prestazioni e l’andamento del proprio percorso. Il calcio, però, è uno sport refrattario ai dati oggettivi, come dimostra il profluvio di narrazioni discordanti che può scaturire da una stessa gara. A dispetto della salutare abitudine all’analisi di statistiche dettagliate in ogni ambito del gioco, sempre più diffusa, sono infatti pochi i dati oggettivabili senza distorsioni soggettive: anche il numero delle occasioni da gol, sul quale spesso si fonda la valutazione della bontà di una prestazione, è discrezionale. E poi c’è un problema ulteriore: a differenza che in altri sport, dove la performance dipende dal singolo atleta, nel calcio non siamo da soli: con la stessa squadra, indipendentemente dalla bontà del lavoro svolto, si può vincere il campionato o arrivare quinti a seconda della qualità e dalla forza delle avversarie.

Obiettivi sì, ma con cautela

Insomma, il lavoro degli obiettivi può essere molto redditizio, ma richiede flessibilità, sensibilità, capacità di analisi delle diverse situazioni e consapevolezza dei limiti dell’atleta o della squadra coinvolta. Non richiede necessariamente uno psicologo dello sport, ma di sicuro un professionista formato (magari anche come psicoterapeuta, in modo da accogliere i vissuti dell’atleta più in profondità) può risultare molto utile nella supervisione del processo. In generale, credo sia importante sottolineare un aspetto: la programmazione degli obiettivi dovrebbe sempre escludere il risultato, almeno nelle giovanili: la tensione acritica verso il risultato, infatti, è uno dei mali del calcio dilettantistico ed è diseducativa. Ma spesso anche nell’alto professionismo è molto più funzionale porsi obiettivi svincolati dal risultato e che riguardino singoli aspetti della performance.

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Marzo 2022 14:31

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