Domenica, 24 Novembre 2024

Il PAPA' che non può guardare il figlio giocare

Questa è la storia di Mario (nome di fantasia), di un papà come tanti che non riesce a guardare il proprio bambino giocare al calcio. Mario lo conosco, domenica mattina all’ingresso di un campo di calcio di Torino dove aveva accompagnato il proprio bambino, che gioca in una squadra dei Pulcini 2007 di una società della provincia di Torino, e che non può guardare il proprio bambino giocare la partita e vederlo divertire, perché non può spendere 5 euro di biglietto, una somma per lui esorbitante.

Mario una persona pacata e dignitosa, ha perso il lavoro da oltre un anno e da quel giorno è alla ricerca di un lavoro qualsiasi per poter soddisfare in parte i bisogni dei propri figli, di poterli accontentare almeno nello sport. Suo figlio Daniele, proprio quel mattino di domenica, ha una partita importante e Mario è costretto a stare fuori dal campo perché non può permettersi il lusso di spendere 5 euro di biglietto. Mario ha gli occhi dolci che traspaiono dignità e correttezza è può vedere il proprio bambino cimentarsi con il pallone, solo durante gli allenamenti dove non è richiesto, per fortuna, nessun biglietto per assistere.

 

<<Ho chiesto gentilmente al cassiere se poteva farmi entrare, ma mi ha detto di no. Devo pagare se voglio vedere mio figlio. Quando lo accompagno nei vari campi chiedo sempre gentilmente alla cassa se posso entrare. Qualcuno si commuove, ma molti mi negano l’ingresso. Così aspetto fuori cercando di intuire se stanno vincendo o perdendo e poi quando esce mio figlio mi faccio raccontare da lui.>> mi dice con voce quasi rotta dalla commozione.

 

 

Vedo un uomo rassegnato dalla vita e dalla impossibilità di vedere il proprio bimbo giocare per colpa di non poter disporre 5 euro alla settimana da spendere per un biglietto, i 5 euro gli servono per comprare cose più importanti per la sua famiglia. Cerco di parlare con il cassiere, fargli capire che è un caso umano, oggi purtroppo diffuso, e che è una persona gentile che chiede soltanto di poter vedere il figlio giocare. Ma l’inflessibile cassiere mi dice no. Gli dispiace ma non è possibile. Chiedo a Mario di descrivermi il proprio bambino di darmi il cognome e che ruolo gioca. E’ attaccante. Entro e mi siedo sugli spalti dove ci sono i genitori, più fortunati di Mario, della sua squadra e chiedo di indicarmi il bambino. Lo vedo Daniele, un bimbo vivace, che sa trattare la palla, ben voluto dal “Mister” e da quando apprendo è pure il “goleador” della squadra.

 

Allora con il mio telefonino incomincio a riprendere tutta la partita cercando di inquadrare sempre Daniele che lo vedo guizzare tra la difesa avversaria. La sua squadra vince per 5 a 2 e lui, Daniele, ha segnato due bellissimi gol. Finisce la partita e vedo il bimbo correre più dei compagni verso gli spogliatoi per uscire prima di tutti per andare a raccontare al suo papà che lo aspetta fuori. Io come sempre aspetto fuori dagli spogliatoi, arriva Daniele ancora con i capelli umidi dalla doccia e mentre si avvia verso l’uscita lo avvicino:

 

<<Ciao Daniele. Io sono un giornalista e amico di tuo papà. Ho fatto il video della tua partita e ora ti accompagno da lui così gli facciamo vedere i tuoi gol>>.

 

Lui mi guarda un pò intimidito e sorpreso. Forse suo papà non gli ha mai detto di avere un amico giornalista. Quasi corre verso l’uscita dove Mario lo sta aspettando per sapere il risultato, e in un attimo, lasciando il borsone a terra, corre verso di lui per abbracciarlo e gioire della vittoria.

 

<<Papà abbiamo vinto! Ho segnato anche due gol!>>

 

<<Bravo Daniele. Bravo amore mio. Sono felice. Magari mentre andiamo a casa mi racconti come hai segnato>>.

 

Raccolgo il borsone e mi avvicino a quel papà e il suo bambino che festeggiano insieme quel momento di felicità, e gli dico a Mario

 

<<Non c’è bisogno. Ho fatto il video di tutta la partita con Daniele che segna. Se mi dai il tuo numero di cellulare te lo mando con watsapp>> (ah! La tecnologia ci soccorre nei momenti di bisogno).

 

Il papà Mario guardandomi con gli occhi rotti per la commozione mi ringrazia. Non ha parole. Ma il suo silenzio ha parlato più di una enciclopedia, più di quanto sociologi, psicologi, esperti di lavoro, di famiglia, del sotuttoio, degli esperti di calcio e di quant’altro potrebbero dire. Quel silenzio viene rotto dal bambino Daniele che mentre si avviano verso la macchina (una vecchia punto) saltellando per la gioia di aver vinto e di avere il film della sua partita, lo sento dire:

 

<<Sai papà, mentre giocavo si sono scollate le scarpe da calcio. Me ne devi comprare un paio nuove. Che bello. Abbiamo il film della partita, ora andiamo a casa che lo facciamo vedere anche alla mamma così sarà contenta anche lei>>.

 

Vedo Mario che accarezza la testa del suo bimbo, felice per lui, ma con in testa che ora dovrà comprargli un paio di scarpe nuove e che i 5 euro risparmiati serviranno per quello. Mentre fa retromarcia con la macchina, per un momento i nostri sguardi si incrociano e dai suoi occhi sento dire.

 

<<Grazie>>

 

Grazie? E’ di cosa? Sono io che ringrazio te Mario, di aver conosciuto un papà dignitoso, disoccupato si, ma con la schiena dritta e con un cuore pieno e stracolmo d’amore per il suo bambino. Non avrai la macchina di lusso, non puoi comprare le scarpe firmate, non puoi entrare per vedere tuo figlio giocare, ma tu la tua partita la giochi ogni giorno e ogni giorno fai gol.

Forza Mario!

 

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