Lunedì, 25 Novembre 2024
Gianluigi De Martino

Gianluigi De Martino

nato a Torino, la città che adora in cui vive e lavora. Tecnico qualificato UEFA B di calcio, ha allenato in tutte le categorie della scuola calcio e del settore giovanile anche professionistiche. Oggi Referente per l'attività di base di Torino e Responsabile Tecnico del Centro Federale di Gassino Torinese per il Settore Giovanile e Scolastico della F.I.G.C.

17ª PUNTATA / IL RIGORE DEL CALCIO - Nella sua rubrica, che torna su queste pagine per la terza stagione consecutiva, Gianluigi de Martino si butta il politica e prova a rispondere a questa difficilissima domanda: cosa può fare - concretamente - una pubblica amministrazione per una società sportiva? Dopo la prima puntata sull'impiantistica sportiva e la seconda su investimenti e progettazione, in questa terza puntata si parte dalla Costituzione, che riconosce lo sport "come elemento fondamentale della vita dei cittadini per lo sviluppo sociale, economico, per la salute e l’educazione". Ora, anche per rispondere alla crisi, è il momento di sostenere quelle sacche di umanità sportiva che sono enti e associazioni sportive dilettantistiche


Viviamo in un tempo surreale. Negli ultimi 3 anni siamo passati dalla pandemia che ancora sferza colpi di coda snervanti, ad un conflitto che lambisce i nostri confini e di cui sentiamo l’eco delle cannonate attraverso gli sguardi attoniti ed atterriti delle donne, uomini, bambine e bambini ucraini che arrivano e ai quali stiamo dando, con lo spirito solidale che ci contraddistingue, ospitalità, rifugio e amore.

Viviamo un tempo strano, che da una parte spaventa, preoccupa, mette in crisi i macro e i micro sistemi economici e toglie serenità, ma che dall’altra spesso si trasforma in grande occasione di rilancio, condivisione e ricerca di nuove strategie comuni risvegliando sentimenti di fratellanza e solidarietà.

Qualche settimana fa, il Parlamento, ha approvato l’introduzione dello Sport in Costituzione come elemento fondamentale della vita dei cittadini per lo sviluppo sociale, economico, per la salute e l’educazione: insomma lo sport gode finalmente a pieno titolo di tutta l’importanza che merita per il ruolo primario che ha nella vita del cittadino italiano. Sulla carta.

Ora è tempo di restituire, anzi di dare, allo sport quella dignità mai avuta, per esempio con un Ministero “con portafoglio”, che sia in grado di gestire la progettazione e lo sviluppo di reali politiche sull’attività sportiva per troppo tempo demandate ad organismi terzi che hanno perorato per lo più le cause delle federazioni che non quelle dei cittadini che praticano o che vorrebbero praticare attività sportiva.

È sempre più necessario sviluppare e sostenere tutte quelle realtà associative che storicamente non sono mai state supportate da strategie nazionali o territoriali, a parte qualche contributo qua e là ricevuto più per manifestazioni che hanno reso visibilità al politico di turno che non per il reale interesse alla promozione dello sport di base, dilettantistico e amatoriale.

Forse è arrivato il momento di rendersi conto che lo sport non è solo quello agonistico, quello delle coppe e dei campionati, degli sponsor e dei diritti televisivi. Esiste un universo costellato da più o meno piccole realtà che provano a mettere in campo competenze e umanità per dare ai cittadini la possibilità, attraverso l’attività motoria, di prevenire malattie, di curare micro patologie legate alla sedentarietà, di intrecciare rapporti sociali, di avviare alla pratica sportiva bambine e bambini, di offrire opportunità di inserimento sociale a chi esce da percorsi di recupero da tossicodipendenze o da condanne scontate nelle carceri.

È arrivato il momento di sostenere queste sacche di umanità sportiva. Oggi più che mai ci sono isole che offrono porti sicuri di solidarietà e comunione nel nome dello sport: gli enti e le associazioni sportive. Ed è proprio la grande crisi provocata da pandemia e guerra l’occasione per rendersi conto che lo stato e le pubbliche amministrazioni hanno uno strumento fortissimo, di grande impatto e dai risultati garantiti sul quale investire denari e competenze: lo sport.

Questo anche perché da qualche settimana, ormai, ha l’obbligo politico, etico e morale nei confronti del documento più importante dello Stato italiano: la Costituzione.

11ª PUNTATA / IL RIGORE DEL CALCIO - Nella sua rubrica, che torna su queste pagine per la terza stagione consecutiva, Gianluigi de Martino si butta il politica e prova a rispondere a questa difficilissima domanda: cosa può fare - concretamente - una pubblica amministrazione per una società sportiva? Sotto l’albero vorremo trovare il coinvolgimento dei cittadini, l’erogazione di servizi e l’attivazione di progettualità e progetti troppo spesso rimasti chiusi nei cassetti della burocrazia, con particolare cura all'accessibilità e al decentramento. Servono tempo e investimenti, ma lo sport è - tra l'altro - prevenzione e salvaguardia della salute


Siamo ormai sotto le festività natalizie e la nostra rassegna delle “5 richieste dello sport alla pubblica amministrazione” si trasforma in una letterina dei desideri approdando al secondo grande bisogno a cui pensiamo sia necessario dare delle risposte immediate da parte della pubblica amministrazione e che vorremmo trovare sotto l’albero: il coinvolgimento dei cittadini, l’erogazione di servizi e l’attivazione di progettualità e progetti troppo spesso rimasti chiusi nei cassetti della burocrazia.

Negli anni ’90 e 2000 il proliferare di Associazioni sportive garantiva una grandissima copertura del territorio in quanto ad opportunità di attività motoria e sportiva di base, sia nelle strutture private che nelle palestre scolastiche e negli impianti sportivi concessi dalle Circoscrizioni comunali o dal Comune stesso. I progetti spaziavano dall’attività motoria per bambini nelle scuole, sia in orario curricolare che, con proposte di propedeutica allo sport, nei pomeriggi extra curriculari, sia di manifestazioni amatoriali e dilettantistiche di avvicinamento all’attività sportiva, creando di fatto un tessuto fitto ed una spontanea partecipazione dal basso alla vita socio-sportiva. Ricordiamo iniziative “prodotte” direttamente dal Comune su progettazione dei principali Enti di promozione sportiva come “sportinsieme” e tante altre entrate nel calendario sportivo e di fatto riconosciute come punti di riferimento dell’offerta territoriale.

Nel tempo si è progettato sempre meno, si è delegato sempre di più e si sono ridotti in modo drastico gli investimenti producendo di fatto un allontanamento dalla partecipazione oltre che dalla progettazione, soprattutto a lungo termine, di attività che potessero non solo avere lo scopo di dare qualche ora di attività motoria, ma rappresentassero un modello di azione di prevenzione e salvaguardia della salute. Esatto: prevenzione e salvaguardia della salute. Non dimentichiamo che praticare attività motoria e sportiva non è solo diletto e svago, ma anche un valido strumento di prevenzione alle malattie cardio vascolari e degenerative, consente di mantenere un buono stato di forma, aiuta a controllare i sovrappesi e le obesità, insomma è un presidio di salute che potrebbe far risparmiare tanto denaro pubblico destinato alla cura di patologie più facilmente contenibili con buona pratica sportiva e motoria.

Vorremmo quindi che ci fosse più attenzione e si tornasse a dare la giusta importanza allo sport, sdoganando il solito concetto che sport = agonismo, ma che gli investimenti in progettualità possano avere un ritorno importante tramite il benessere della popolazione. Si ritorni quindi a progettare, non solo ad essere meri ratificatori e finanziatori dei progetti che pervengono dagli Enti e dalle Associazioni; queste non possono e non devono sostituirsi alla funzione dell’ente pubblico, ma supportare ed essere supportate perché si possa tornare ad avere offerta varia e variegata, di alta qualità ed accessibile.

Sotto l’albero vorremmo trovare proprio l’accessibilità. A Mirafiori Sud, per esempio, esiste una piscina storica, ubicata in un complesso scolastico, che rappresentava il centro dell’attività sportiva acquatica del quartiere: attività pre-natatoria per bambini, corsi per disabili, ginnastica in acqua per anziani, nuoto libero per i tanti cittadini della zona. Quell’impianto è ormai chiuso da diversi anni perché gli interventi di manutenzione e gestione della struttura erano diventati ormai onerosi ed ingenti con il risultato che quella comunità non ha un punto di riferimento prossimo per l’attività sportiva acquatica e si devono spostare in altra parte del territorio, tra l’altro non sempre ben collegata dai mezzi pubblici, quindi di difficoltosa raggiungibilità. Ecco, noi vorremmo che i tanti impianti abbandonati tornassero ad essere sedi di progettualità che prevedano investimenti sul futuro, che tornassero ad avere strategica importanza nell’ottica del policentrismo tanto sbandierato nelle tante campagne elettorali e che i cittadini possano risentirsi coinvolti dal proprio territorio.

Cara Babba Natale Pubblica Amministrazione, i capitoli di bilancio dedicati allo sport vorremmo avessero la stessa dignità e consistenza di altri capitoli, vorremmo che lo sport riacquisisse centralità nelle politiche attive sul territorio, che le opportunità fossero un punto importante del programma da applicare alla gestione del Comune e delle Circoscrizioni per i prossimi anni. Progettare è faticoso, costa tempo e risorse, ma è l’unico modo che vediamo, dopo questi anni di profonda crisi, di difficoltà e di incertezza prodotta dalla pandemia, per affrontare il futuro con speranza.

Buon Natale e che sia un 2022 di progettazione, rilancio e partecipazione.

4ª PUNTATA / IL RIGORE DEL CALCIO - Nella sua rubrica, che torna su queste pagine per la terza stagione consecutiva, Gianluigi de Martino si butta il politica e prova a rispondere a questa difficilissima domanda: cosa può fare - concretamente - una pubblica amministrazione per una società sportiva? I "desideri" da sfregare alla lampada sono cinque, il primo riguarda l'impiantistica sportiva, a partire dal censimento dello status quo, sempre con uno sguardo rivolto al futuro. Nelle prossime puntate scopriremo insieme gli altri quattro desideri...


Per diversi anni abbiamo decantato la “cantera” spagnola come simbolo della progettazione, della scuola di qualità sportiva, come metodologia che rimetteva al centro della crescita il giovane calciatore. Siamo rimasti a bocca aperta e con la meraviglia negli occhi quando abbiamo visitato gli impianti del Barcellona o del Real Madrid. Eppure pochi si sono chiesti se quei templi del calcio giovanile fossero semplicemente il frutto di investimenti di società quotate un borsa oppure la realizzazione di un progetto più ampio, che prevedesse anche il coinvolgimento delle società dilettantistiche o di leghe inferiori e delle istituzioni pubbliche.

In Italia abbiamo da sempre un problema di attenzione da parte della pubblica amministrazione alle politiche sportive. Soprattutto, negli anni, queste si sono sempre più trasformate in piccoli e insufficienti contributi a pioggia per quelle poche società sportive che hanno saputo accreditarsi oppure che gestiscono, comunque con grandissimi sforzi e difficoltà, impianti sportivi comunali o circoscrizionali sempre più fatiscenti, costosi e talvolta poco funzionali alle necessità di “sport” e non solo di calcio, che hanno i cittadini.

Sicuramente la pubblica amministrazione ha la responsabilità di rivedere completamente il ruolo che vuole svolgere in questo complesso e vasto mondo sportivo: recitare da co-protagonista e diventare punto di riferimento reale, attivo e presente oppure continuare a demandare alle associazioni sportive, calcistiche e non, che, soprattutto in questo periodo post-pandemico (speriamo di poter davvero dire così), si stanno ritrovando spesso con numeri ben al di sotto delle medie stagionali degli anni passati.

Questo e i prossimi articoli proveranno a raccontare quali sono i 5 desideri del mondo dello sport cittadino, come se, potendo sfregare la magica lampada che rappresenta simbolicamente l’Istituzione Pubblica, avessimo la possibilità di esaudire 5 importantissimi presupposti affinchè lo sport cittadino possa essere davvero importante mezzo di evoluzione e progresso e rilancio.

In ordine di priorità, la pubblica amministrazione deve prima di tutto aver ben chiaro che gli impianti sportivi sono il fulcro della vita sportiva e sociale dei territori e che rappresentano punti di aggregazione strategici, poli di cultura sportiva e spesso anche sociale. Gli impianti sportivi dovrebbero essere quindi censiti per condizioni infrastrutturali, per scadenze di concessioni, per utilizzo che non sempre risulta appropriato da parte delle società e messi al centro della discussione politica di rilancio delle stesse infrastrutture della città, con una visione rivolta al futuro non prossimo, ma a 15 o 20 anni.

Non meno importante la puntualità con cui l’ente pubblico deve rispettare le scadenze di concessione e indire i bandi per permettere alle società di essere certe nell’investire sulle proprie attività o sulle migliorie che sono di loro competenza. Il rispetto delle scadenze deve prevedere, per gli impianti di calcio, anche un eventuale tavolo di confronto tra ente pubblico e Lega Calcio in modo da trovare spazi di riflessione e soluzione per la discronia delle scadenze di concessione e di omologazioni.

Altra priorità è necessariamente il controllo: è ormai normalità il malcostume dei “sub-appalti” e degli utilizzi da parte di terze società, spesso in affitto ed in via esclusiva, di impianti concessi. Ricordiamo che un impianto sportivo è “concesso” e “pubblico”, non privato se appartenente al Comune o alla Circoscrizione. E questo status ha delle regole che troppo spesso non sono rispettate venendo meno a principi etici ancora prima che contravvenendo alle leggi dello stato.

Ecco, una lungimirante amministrazione pubblica ha il dovere e la responsabilità di partire dai luoghi, ovvero gli impianti, per affermare la propria volontà espressa nelle campagne elettorali e trasformare la “politica” in “politiche”: vere, attive, al servizio dei cittadini.

1 - Torna la rubrica curata da Gianluigi de Martino e questo piccolo articolo sarà il primo di una serie attraverso i quali proveremo a dare la ricetta, anzi, una ricetta, semplice e dagli ingredienti facili da reperire. Unica regola: l’abbondanza. Il primo ingrediente che pensiamo debba essere necessario è la PROGRAMMAZIONE.


Non può esistere progetto a medio – lungo termine che non preveda una fase di accurata programmazione, organizzazione e calendarizzazione di tutto ciò che sarà necessario per il
raggiungimento degli obiettivi prefissi. Siano essi obiettivi della società, siano essi obiettivi educativi del singolo atleta o tecnici di una squadra o di un settore. Nell’ambito societario riveste un ruolo fondamentale il dirigente che si assumerà la responsabilità del coordinare tutto il sistema che sviluppa le varie attività: il Direttore Generale. Questi dovrà affiancarsi alcune persone di altrettanta importanza come il Direttore Sportivo, il Responsabile Tecnico e il Responsabile della Segreteria, che agiscono nei vari comparti operativi della società. È assolutamente necessario che questi organismi godano della piena fiducia del Consiglio Direttivo e che abbiano delega a portare avanti gli indirizzi che il Consiglio avrà dato loro con gli obiettivi prefissati, sia a breve che a medio e lungo termine.

La programmazione a breve termine accoglie tutto ciò che serve per poter affrontare i primi mesi della stagione in corso, nell’ottica del completamente di questa; la programmazione a medio termine invece, per almeno un ciclo completo. Per esempio, partendo dall’anno in corso, si parte con i 2013 che iniziano come primi calci e che attraverso i 6 anni successivi, termineranno poi con il passaggio alla fascia giovanile agonistica. Rientrano in questi tipi di programmazione la scelta dei tecnici, la scelta della metodologia e dello sviluppo didattico - tecnico . Gli step intermedi di verifica sono ovviamente il passaggio di categoria e di gruppo, per esempio dai Pulcini agli Esordienti, o dai Primi calci ai Pulcini, o il cambio dell’istruttore, che deve avvenire con uno scambio di informazioni oggettive sull’andamento dello sviluppo tecnico, cognitivo, educativo, ecc.. (per gli strumenti vedremo poi nella parte relativa alla programmazione a lungo termine) dei giocatori.

Gioca un ruolo strategico la metodologia didattica con la quale si pianifica la parte tecnica ed è fondamentale che tutta la Scuola calcio applichi lo stesso metodo per poter rilevare con sufficiente accuratezza l’efficacia della programmazione. Della programmazione a medio termine inoltre fanno parte anche la calendarizzazione di incontri di formazione interna ed esterna con esperti, figure professionali specifiche per l’approfondimento sia degli aspetti tecnici, ma anche pedagogici ed educativi.

La programmazione a lungo termine invece prevede la necessità di ragionare su almeno due o tre cicli completi, quindi arriva anche a 8, 9 o 10 anni di attività programmata. Prevede investimenti su struttura sportiva e materiali, allestimento di uno staff tecnico e di supporto che si arricchisca di figure professionali come preparatori atletici, preparatori dei portieri, psicologi che sposino il progetto stesso e che si configurino come uomini di società stabilendo anche, in alcuni casi, rapporti fiduciari. La programmazione a lungo termine prevede anche l’eventuale dotazione di tecnologie a supporto, come software di raccolta ed inserimento e condivisione dati che consentano la trasmissione delle informazioni nel modo più standardizzato possibile e possano coadiuvare gli istruttori nella redazione degli allenamenti e delle schede di verifica in modo da poter condividere poi i risultati con gli istruttori che prenderanno il gruppo negli anni successivi. Inoltre questo permetterà di poter attuare modifiche, correzioni, potenziamenti o migliorie al sistema metodologico e didattico da applicare nel tempo alle annate successive.

Abbiamo concluso la trattazione del primo ingrediente per il raggiungimento degli obiettivi: PROGRAMMAZIONE. Nella nostra ricetta non possiamo che prevedere un secondo ingrediente altrettanto importante: la COMPETENZA. Arrivederci al prossimo appuntamento.

6 - La rubrica curata da Gianluigi de Martino in questo numero spiega l'importanza di non fermarsi in un momento in cui tutto il movimento è stato per forza di cose obbligato a fermarsi per quanto riguarda l'attività in campo. La soluzione è la formazione a distanza e la condivisione di contenuti di qualità, per stare vicini e continuare ad aggiornarsi.


Formarsi per non fermarsi, in tempi di quarantena sono fioccati come funghi dopo un temporale corsi, webinar e call conference dedicati alla condivisione e alla formazione su contenuti calcistici tecnici e teorici che vedono coinvolti non solo tecnici di alto livello e professionistico, ma anche istruttori e allenatori del mondo del calcio dilettantistico.

Probabilmente mai periodo fu più fertile e ricco di proposte come questo. Credo quindi che ormai il punto della questione si sia spostato non tanto sulla necessità di occasioni, ma di volontà a sfruttarle. Questo strano, drammatico, periodo può quindi celare un momento di grandi occasioni.

Sarebbe molto interessante, per esempio, organizzare un calendario di appuntamenti per la formazione interna alle società sul modello delle serate formative che già le Scuole Calcio Èlite e le Scuole Calcio Qualificate sono obbligate a organizzare, con riunioni on line che non solo mantengano vivi i rapporti tra società e tecnici, dirigenti e genitori, fortificando i legami che al contrario potrebbero risentire della distanza forzata, ma diventando veri e propri spazi di programmazione e condivisione delle metodologie, della guida alle regolamentazioni interne della società, delle prospettive e dei progetti che le società prefigurano per la ripresa delle attività. Un modello coinvolgente e interattivo a piccoli gruppi o vere e proprie Conference Call dove i relatori espongono il programma della riunione.

D’altro canto i singoli allenatori, istruttori e tecnici hanno davvero l’occasione di preparare un calendario personale di formazione, accedendo a una “biblioteca” virtuale vastissima che spazia da webinar sugli aspetti tecnici, sulle implicazioni psicologiche, sulle metodologie, sulla conduzione degli allenamenti, sull’organizzazione delle singole sedute di allenamento. Il web e i social network sono davvero un pozzo senza fondo di occasioni.

Il Settore Giovanile e Scolastico della Figc ha seguito una programmazione ben definita che ha visto coinvolti in prima battuta tutti i collaboratori del Settore Giovanile e Scolastico attraverso call conference tenute dai Responsabili Tecnici dei Centri Federali Territoriali, con la collaborazione dagli staff tecnici. I cinque temi trattati sono fra i principali presupposti alla base della filosofia e la metodologia dei Centri Federali e determineranno sicuramente le modalità di sviluppo delle nostre Scuole calcio nel futuro. A maggio, terminata la formazione interna, saranno organizzati le Call dedicate ai tecnici delle società dilettantistiche che si potranno confrontare su quei cinque temi con l’apporto dei contenuti, delle riflessioni e dei contributi di chi vive il campo tra i bambini e i giovani.

“Creare un ambiente tale che il talento sia inevitabile”, “L’apprendimento non è lineare”, “La competizione e l’ambiente sereno e gioioso”, “L’etica è il primo pilastro del Programma di Sviluppo Territoriale” e “Il Programma di Sviluppo Territoriale propone una tecnica principalmente situazionale” sono i cinque temi trattati sui tavoli delle conference.

Insomma, in questo momento di paralisi generale, in realtà possiamo muoverci e farlo in modo proficuo. Una grande occasione per tornare sui campi con una marcia in più, con un pizzico di maggiori competenze, una dose massiccia di esperienze indirette acquisite dalla condivisione con altri tecnici e istruttori. Perché il calcio ha, e ne avrà sempre di più, bisogno di qualità, grande qualità. Non perdiamo questa grande occasione.

5 - La rubrica curata da Gianluigi de Martino in questo numero spiega quanto sia importante oggi più che mai vestire la stessa divisa speciale senza numero dietro, ma il nostro nome. Il nome di ognuno di noi, per giocare e vincere insieme questa partita e segnare la rete più importante: quella della vita.


Sono ormai diverse settimane che dobbiamo osservare restrizioni per poter arginare l’epidemia e superare questo difficile momento e sicuramente abbiamo attraversato momenti di preoccupazione, magari di tristezza, angoscia. Ma mai come ora dobbiamo continuare a osservare le regole e con grande senso di responsabilità pensare alla nostra salute e a quella delle persone intorno a noi.

Naturalmente il pensiero va a tutti coloro che non hanno potuto fermarsi e rifugiarsi in casa per salvaguardarsi, ma continuano a far funzionare il nostro Paese, ci accolgono negli ospedali e ci curano, ci accolgono nei negozi e ci permettono di approvvigionarci, proteggono la nostra incolumità, si occupano delle manutenzioni o chi svolge volontariato al servizio degli anziani e delle fasce deboli della popolazione.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di sentirci parte di una squadra. Sì, proprio come quando vestiamo pantaloncini, calzettoni, scarpette e poi quella maglietta con sopra il numero e lo stemma della nostra società. Oggi la maglietta che vestiamo è uguale per tutti noi. È una divisa speciale e non ha un numero dietro, ma il nostro nome. Il  nome di ognuno di noi.

Questa partita va giocata insieme. Abbiamo allenatori fortissimi che ci spiegano le regole e ci danno tutte le tattiche e le strategie migliori per dribblare questo subdolo avversario. Ne stiamo lentamente conoscendo il modulo e dopo aver giocato in difesa, e noi italiani siamo i più esperti sotto questo aspetto per storia e tradizione, dovremo reagire con il talento e i nostri colpi migliori: corsa, dribbling, creazione della superiorità numerica, guizzi tecnici di alta scuola e segnare la rete più importante: quella della vita.

Oggi ci dobbiamo allenare in quell’ambiente dove sappiamo di trovare conforto, ricovero, certezze: la nostra casa. Esattamente come quando ci troviamo al campo, dobbiamo imparare a rispettare gli orari mantenendo l’abitudine a cambiarci, prenderci cura di noi. Dobbiamo rispettare i compagni che giocano e si allenano con noi e che questa volta sono mamma, papà, moglie, marito, figli, fratello o sorella. Dobbiamo rispettare le regole della squadra, gli spazi di ognuno, le necessità e i bisogni. Il rigore del calcio deve tornarci utile come faro guida su un campo di calcio che non ha l’erba, ma solide mura di mattoni, non ha spogliatoi, ma un bagno, non ha spalti, ma camere da letto.

Possiamo impegnare il nostro tempo leggendo, studiando, dedicandoci a cose per cui nella frenesia della vita quotidiana, riponiamo poca attenzione. I bambini e i ragazzi continuano a studiare grazie alla tecnologia, la Federazione sta continuando a studiare per poter dare ai nostri giovani calciatori le migliori competenze quando sarà il momento. Riscopriamo il piacere di dedicarci a noi. Ridiamo valore alle piccole e semplici cose. Ristrutturiamo l’ordine delle priorità della nostra vita.

Insomma non spegniamo i motori. Giochiamo questa partita con rigore ed energia perché nelle crisi bisogna saper scorgere le grandi opportunità e solo chi avrà saputo fare gioco di squadra potrà davvero uscirne vincente.

#noigiochiamoincasa
rispetta #leregoledelgioco e #tuttoandrabene

4 - La rubrica curata da Gianluigi de Martino in questo numero spiega come ci sia spesso un vizietto che porta a credersi furbi quando si aggirano le regole, senza prendere in considerazione che quelle regole sono state messe per fare il bene dei ragazzi e non il contrario.


Fatta la legge, trovato l'inganno. Dice un detto popolare. Eppure non è un vizio tutto italico, sia chiaro, seppur sia diventato luogo comune che nella nostra amata patria trovare l’inganno sia l’unico modo per avere successo, godere di benefici particolari, sentirsi al di sopra dell’uomo comune. Talvolta si è talmente concentrati nell’aggirare le regole che si perde di vista l’importanza e il senso stesso di quelle regole, ponendo il mero interesse personale davanti alla sicurezza, alla tutela del benessere comune o addirittura davanti alle finalità ultime di ciò che si fa.

E se ci capitasse di assistere quella domenica ad una partita tra piccoli calciatori, diciamo di undici o dodici anni, su un campetto qualsiasi sotto casa in un grigio pomeriggio di fine inverno, e quella partita si stesse giocando con ventidue giocatori in campo, al più potremmo pensare che manchino i guardalinee. Forse ci preoccuperemmo di quale modulo stiano usando i due tecnici, se quella linea del fuorigioco è abbastanza veloce, forse i più fini conoscitori potrebbero ancora chiedersi se quell’uscita sul portatore di palla era coperta o meno. Nessuno, o forse pochi, si domanderebbero se la grandezza del campo e il numero di giocatori sia quello corretto. E la cosa più sconsolante è che soprattutto chi ha organizzato quella partita non si sia chiesto se ciò che stava facendo, ovvero contravvenire alle regole del settore giovanile e scolastico della Figc, fosse eticamente corretto e portasse aa un risultato didatticamente proficuo.

Ebbene, per i non addetti ai lavori quei bambini non avrebbero potuto giocare 11 contro 11 e non avrebbero dovuto giocare su un campo regolamentare. Ed è proprio questo atteggiamento superficiale con cui ci si approccia alle cose che determina poi la qualità del risultato. E questo vale per una “semplice” partita fra bambini come, naturalmente, nel più complicato mondo degli adulti. Riteniamo però che quando a determinare le scelte siano terze persone per qualcuno come nel nostro caso, adulti che scelgono per bambini, non si possano derogare le responsabilità e si debba aver coscienza dei meccanismi innescati e delle conseguenze generate. Purtroppo però è sempre difficile rispettare delle regole che all’apparenza sembrerebbero limitanti, poiché queste danno l’impressione di non permettere la massima evoluzione dell’oggetto che regolano. Eppure se provassimo a metterci su un punto di vista differente e più lungimirante ci accorgeremmo che quelle regole sono proprio il primo e ultimo difensore della riuscita del processo a cui sono legate. In buona sostanza quei bambini oggi hanno realizzato il divertimento degli adulti, ma per un semplice gioco di proporzione spazio – numero di giocatori, quella partita giocata in quel modo ha determinato un’occasione didattica persa per migliorare le loro capacità tecniche, motorie e coordinative.

Così tutti i giorni, l’evasione fiscale, la raccomandazione lavorativa, l’aggiramento delle norme sulla sicurezza sul lavoro, l’ammiccamento che fa passare avanti nella lista d’attesa ed ogni furbata che apparentemente ha portato un vantaggio, in realtà ha apportato uno svantaggio generale che inevitabilmente si ripercuote sulla società in generale e su quell’individuo illuso del vantaggio momentaneo. E non solo: si saranno sprecate risorse, dilapidate per un ritorno decisamente più misero di quel che valgono e di quel che potenzialmente potrebbero produrre. Per esempio gli uomini del domani.

3 - La rubrica curata da Gianluigi de Martino in questa puntata si chiede: dove si è inceppato quel meccanismo di trasmissione di valori, ritualità, lo scambio di un dono come il gagliardetto per il calcio, oppure usanze come la stretta di mano al termine dell’incontro?


Aprire e sfogliare un quotidiano, una rivista o un catalogo pubblicitario oggi ci permette di avere uno spaccato rappresentativo della società e ci consente di riflettere su come troppo spesso la disinformazione trasformi voci di corridoio ini verità apprese, assodate e condivise, ma soprattutto come queste poi diventino a loro volta volano per il lancio di nuovi usi e costumi ben lontani dalle sane usanze e ritualità tramandate di nonni in figli, e quindi una volta questi diventati genitori, a loro volta ai loro figli.

Ebbene proprio sfogliando uno di questi quotidiani, riusciamo a trovare talvolta sulla stessa facciata o in due pagine vicine, notizie che trasmettono significati totalmente opposti. Per esempio capita di leggere su pagine adiacenti due notizie che incredibilmente incarnano mondi diametralmente opposti, pur avendo come elementi comuni due cose: dei bambini e un pallone: “Rissa tra genitori, partita sospesa” e “auto-arbitraggio, esperimento riuscito”. Incredibilmente questi titoli campeggiano uno affianco all’altro e quasi come se potessimo scorgere un sogghigno beffardo e ci raccontano la distanza siderale tra il mondo com’è e il mondo come vorremmo che fosse.

Proviamo ad immaginare con un piccolo sforzo di fantasia un campetto, quello sotto casa, con una tribuna, campo di gioco dei genitori, e un prato verde, campo di gioco dei loro figli. E che ad un certo punto, contemporaneamente, mentre quei genitori invasati riversano le loro frustrazioni di una vita che probabilmente li priva di soddisfazioni personali, affettive e lavorative, aggredendo verbalmente e poi fisicamente i genitori e tifosi della squadra avversaria, dall’altra parte della rete i loro figli autogestiscono la propria attività applicando le semplici regole di gioco, richiamando con onestà le irregolarità, scusandosi e stringendosi la mano per riprendere il gioco come se nulla fosse.

Allora ci chiediamo: dove si è inceppato quel meccanismo di trasmissione di valori, ritualità, lo scambio di un dono come il gagliardetto per il calcio, usanze come la stretta di mano al termine dell’incontro? Dove abbiamo smarrito la coscienza comune che ci permetteva di condividere momenti di agonismo utili per trasmettere anche educazione e disciplina? Quel titolo che trasuda rabbia e isteria collettiva ha il suono del fallimento di una generazione buona a tentare la fortuna partecipando a provini per reality show, ma che fa fatica a vivere i sacrifici della vita quotidiana, buona a pensare che le regole siano giuste solo se è il mondo intorno a doverle rispettare, ma che da queste essi godano di una sorta di immunità riscattata da un sistema che questo riporta come cronaca.

Poi una luce in questo buio quasi totale. Quella luce che scorgiamo è la fiammella della speranza. Quei due titoli che affiancati ci permettono di ridimensionare se non annullare la stupidità di certi “presunti” adulti in favore dell’esaltazione di coloro che invertendo le parti ci trasmettono proprio quelle usanze e quei valori che temevamo perduti inesorabilmente dalle mani e dalle teste vuote della generazione precedente. E allora non ci resta che continuare a leggere i nostri giornali, le nostre riviste e quotidiani, sperando che siano sempre più le cronache di una generazione che vuole impossessarsi del proprio futuro promuovendo i “Friday for future”, giocando la propria partita della vita arbitrandosela e gestendo le ingiustizie, le emozioni, le delusioni, le gioie, le vittorie e soprattutto le sconfitte.

2 - La rubrica curata da Gianluigi de Martino parte dall’educazione, e da quanto sia controproducente improvvisarsi tecnici impartendo indicazioni, urlando rimproveri o esternando palesemente la delusione per un passaggio sbagliato o un gol mancato dalla tribuna.


Ad ogni sconfitta della propria squadra del cuore, ma ancor di più della nostra Nazionale Italiana di calcio dove oltre ai sistemi di gioco, tattiche, letture della partita e contromosse strategiche si devono fare i conti con la selezione dei migliori giocatori italiani, si scatena la gara alla candidatura per la panchina al posto del malcapitato allenatore di turno o nientepopodimeno che del Commissario Tecnico. Ed è così che l’italiano medio si ritrova a ragionare su valutazioni, moduli, posizioni, sciorinando competenze da “università della vita” e millantando esperienze che al massimo ha maturato alla Play Station.

Ogni week end sui nostri campi di calcio dilettantistici, in calzoncini, calzettoni e maglietta talvolta di una o due taglie più grandi, rincorrono il pallone bambini che giocano spensierati. Giocano. Già, giocano e si divertono. Rincorrono quel pallone, se lo passano tra compagni, tentano un dribbling goffo e con la punta del piede calciano sperando di veder rotolare quel pallone nella porta avversaria. Quei bambini hanno un sogno: diventare come i loro idoli, quelli che vedono in televisione, quelli che quando li vedono provocano loro subito il sorriso, quelli che quando fanno gol o una super parata fanno scoppiare l’urlo di gioia e di cui imitano alla perfezione l’esultanza. Quei bambini giocano e sognano.

Quei bambini sanno che fuori dalla rete, su quella tribuna, ci sono i papà, le mamma, il nonno, lo zio: i loro tifosi numeri uno. Spesso si girano per guardarli, li cercano con lo sguardo, e trovandoli sperano in un loro cenno di approvazione per quel passaggio filtrante o quel recupero sull’avversario.

Ma sabato ad un bambino è scesa più di una lacrima. E non è scesa perché ha sbagliato un passaggio o un gol. Ha corso verso il suo allenatore e piangendo gli ha detto di non voler più giocare. Quel bambino infatti era stato per tutto il tempo richiamato, diretto e rimproverato dai suoi tifosi numeri uno.

Ed è proprio qui che finisce la risata spontanea che abbiamo come reazione quando cimentandosi nel ruolo di CT, l’italiano medio si lascia andare a commenti sulla Nazionale. Inizia quindi la riflessione su quanto sia compromettente quello stesso commento fatto al campo durante la partita dei propri figli. E ancor di più quanto sia controproducente improvvisarsi tecnici impartendo indicazioni, urlando rimproveri o esternando palesemente la delusione per un passaggio sbagliato o un gol mancato. Quel bambino non vuole un allenatore in tribuna. Non rivolge il proprio sguardo per trovare un tecnico che gli rilevi gli errori, tantomeno vorrebbe scorgere volti delusi nei suoi tifosi numeri uno.

E’ urgente una ri-educazione al ruolo che ogni adulto ha nella vita dei bambini perché questi possano distinguere i propri punti di riferimento, possano orientarsi con sicurezza e trovino affianco le guide giuste che per competenze sappiano essere educatori, allenatori, insegnanti e genitori.

1 - La rubrica curata da Gianluigi de Martino parte dall’educazione, e da quanto questa possa essere straordinaria se veicolata da iniziative positive come il cartellino verde, uno strumento che provoca in noi reazioni inattese e di stupore


Pensare di stravolgere in poco tempo il sistema educativo nel calcio è impensabile. Ma provare poco a poco ad insistere su nuove metodologie potrebbe portare, sul lungo periodo, ottimi frutti. Ecco come e perché nasce il cartellino verde, uno strumento che fa riflettere su come la normalità spesso si travesta da straordinarietà e provochi in noi reazioni inattese di stupore ed approvazione.

La Green Card, ovvero il cartellino verde, è un progetto del Settore Giovanile e Scolastico della Federazione Italiana Gioco Calcio introdotto per le categorie della Scuola Calcio, ed è una vera rivoluzione metodologica seppur nella sua semplicità. Infatti si inserisce nel contesto dei provvedimenti disciplinari con i classici cartellini rosso e giallo, ma stravolgendo completamente il significato educativo dei cartellini stessi. Il semaforo comportamentale trova così finalmente l’occasione non solo per  sanzionare con avvertimento (cartellino giallo) o allontanamento (cartellino rosso) i comportamenti scorretti, ma finalmente di premiare i comportamenti virtuosi, di fair play o anche gestualità tecniche importanti. Proviamo quindi a orientare lo stimolo a comportarsi bene non per la paura della sanzione, ma per l’ambizione al riconoscimento. Il bambino insomma comincia, fin dalla più tenera età e con l’aiuto del gioco e della sua attività sportiva, a costruire fondamenta del comportamento etico che richiediamo poi all’adulto del futuro.

Durante un incontro tra due squadre di bambini di 9 anni la palla passa rasente il fallo laterale e il portatore di palla continua la sua corsa fino alla porta avversaria. In quel momento si fermano un po’ tutti, in attesa che qualche adulto si pronunci su quel fallo laterale dubbio e questo consente la facile rete. Forse proprio in quel momento quel bambino si è reso conto di aver fatto una cosa strana agli occhi degli altri piccoli giocatori: aver segnato la rete nonostante il pallone fosse poco prima uscito dal campo. E solo lo sguardo rivolto verso di lui di quei bambini, bambini come lui, disorientati e un po’ contrariati lo hanno fatto riflettere sul suo comportamento. La decisione di negarsi la rete ed ammettere che il pallone fosse uscito poco prima ha una conseguenza immediata e straordinaria: il sorriso di tutti gli avversari, che se pur tali erano comunque compagni di gioco, dei propri compagni e degli adulti meravigliati e colpiti di questa onestà. Un gesto da Green Card.

Ora la domanda che ci poniamo è: quanti adulti nella veste di allenatori/educatori oggi spingono verso questo modello educativo nella scuola calcio e quanti invece tendono ad insegnare e trasmettere le malizie e le astuzie ai limiti della “legalità” tipiche dell’età adulta? Ahínoi ci tocca ammettere che nonostante l’ottimismo con cui lavoriamo per diffondere sani principi etici supportati da nuove metodologie educative, spesso ci si trova di fronte a situazioni drammatiche dovute alla scarsa preparazione dei tecnici, mancanza totale di programmazione, aggiornamento, cultura personale sportiva e civica oltre che al più banale, ma fondamentale, buon senso.

E allora riflettiamo sulla selezione del personale addetto ai lavori. Riflettiamo sulla responsabilità che le società si assumono ogni volta che affidano i propri tesserati a questo o a quel tecnico. Riflettiamo sull’importanza di vincere la coppetta nella categoria pulcini o esordienti oppure puntare a vincere la partita del secolo, ovvero quella contro la deriva catastrofica di una società dallo spregiudicato individualismo e arrivismo noncurante dell’importanza di valori quali la solidarietà, la correttezza e l’onestà. 

Provando a parafrasare, potremmo cominciare con il pensare che è proprio il mondo dei bambini quel mondo dal quale dovremmo attingere per regolamentare il mondo degli adulti, riportando alla normalità la semplicità dei gesti, i valori etici, le motivazioni per cui decidiamo di essere chiamati “società civile”, ma ancora di più “società civica”.