Domenica, 17 Novembre 2024
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7ª PUNTATA / LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI - Gestione dello spazio, traiettoria della palla, variabili portate da compagni e avversari: Fabrizio Capodici, preparatore che lavora anche per le Nazionali giovanili, approfondisce "uno dei gesti tecnici più complessi per un portiere". Gli allenamenti situazionali sono la strada per trovare sicurezza, senza perdere un pizzico di incoscienza


L’uscita alta è uno dei gesti tecnici più complessi per un portiere. La principale difficoltà è quella di doversi coordinare nello spazio tenendo conto della traiettoria della palla, situazione ricorrente in quasi tutti i gesti tecnici del ruolo, ma in questo caso la traiettoria del pallone lontana dal terreno provoca un senso di insicurezza ancora maggiore per il portiere. Per quanto complessa, la lettura della traiettoria è solo uno dei fattori di difficoltà nelle uscite alte: all’interno del campo di gioco non si è soli con il pallone, bensì sono presenti innumerevoli fattori da considerare, le variabili portate da compagni e avversari.

I compagni, paradossalmente, possono essere un’incognita per il portiere: spesso sono talmente ben posizionati da indurlo a non uscire, altre volte sono sicuri di un’uscita che invece non è stata messa in conto. L’affiatamento con il reparto difensivo, che si costruisce con il tempo e si solidifica con la reciproca fiducia, è fondamentale. Un elemento fondamentale: il portiere deve parlare, farsi sentire, usare un tono di voce diverso rispetto alle diverse situazioni, deve essere un leader.

Poi ci sono gli avversari: alti, grossi, veloci, marcati o liberi, troppe cose da analizzare in un lasso di tempo così breve, com’è quello di un cross. Il pallone: più la traiettoria è lunga, più può trarre in inganno, soprattutto con i palloni sempre più leggeri che assumono effetti di difficile lettura. Ultima, ma non ultima, c’è la paura. La paura di non arrivare sul pallone, di farsi anticipare, di sbagliare la presa… D’altronde, dopo tutti i fattori elencati e quelli che ci sarebbero ancora da aggiungere, come si fa a considerare l’uscita alta un gesto semplice per il portiere?

Finora, lungo il mio percorso da istruttore, soprattutto con i più piccoli, ho sempre cercato di trasmettere sicurezza ai miei portieri, in ogni gesto tecnico ma soprattutto nelle uscite alte, vista la loro complessità. I bambini hanno un senso di incoscienza molto affascinante, sono attratti dalla palla e il loro obbiettivo è quello di prenderla, che sia alta, bassa, vicina, lontana, in mischia. Ebbene, questa loro “incoscienza”, curata nel tempo con il lavoro tecnico e tattico, può far emergere abilità che nel lungo periodo diventano un valore aggiunto e possono fare la differenza nei campionati agonistici.

Con i più grandi il lavoro è molto più complesso. Nei confronti della situazione di uscita alta si crea spesso una vera e propria avversità da parte del portiere, scaturita dal fatto che ogni azione che li spinge al di fuori della porta induce alla paura di prendere gol. Per ovviare a questo senso di insicurezza che si crea durante la partita, bisogna impostare allenamenti che si avvicinino più possibile alla realtà della partita stessa, con tutte le sue difficoltà. Negli allenamenti che propongo ai miei allievi cerco sempre di ricreare esercitazioni situazionali, dove le letture e le variabili all’interno del lavoro siano sempre diverse. Soprattutto nel calcio moderno, dove il ruolo del portiere si sta sempre di più evolvendo, il consolidamento di questi fondamentali e l’efficacia sulle situazioni di palla alta rappresentano un fattore rilevante per il successo individuale e collettivo.

C’è da dire che lo studio legato all’uscita alta, con il tempo, ha subito innumerevoli approfondimenti e variazioni. Personalmente, lo studio della postura e del posizionamento nell’uscita alta sono argomenti che ancora tutt’oggi sono materia di interesse personale e approfondimento. Ogni giorno, attraverso la visione di portieri di diversa categoria ed età, cerco di evolvere quelle che sono le mie conoscenze inerenti a questa situazione di gioco, provando a ricreare concetti e lavori che siano facilmente trasmissibili ai miei portieri.

Chiudo con una frase che ripeto sempre ai miei allievi: “la fretta è nemica del portiere, una volta effettuata l’uscita alta, la palla è importante consolidarla”.

2 - Dopo l’approfondimento sulla comunicazione (clicca qui), il secondo editoriale firmato da Fabrizio Capodici riguarda un altro aspetto fondamentale per il “portiere moderno”, ovvero la capacità di giocare con i piedi e di essere pienamente integrato nel contesto della squadra, anche in fase di costruzione di gioco


«Gli allenatori affidano e richiedono al portiere, in misura sempre più decisiva, il compito di far partire con la massima qualità l’azione. Il portiere è diventato il primo giocatore offensivo della squadra».

Il portiere moderno deve essere un portiere pensante e propositivo, deve convincersi che più andiamo avanti e più deve essere il primo costruttore della manovra, come già avviene nei top club Europei. In fase di possesso palla deve avere la capacità di pensare come se fosse un «play», deve usare entrambi i piedi in modo naturale e posizionarsi, nel ricevere la palla, in modo da avere la completa visione di tutto il campo e di conseguenza prevenire l’eventuale pressione degli avversari e vedere lo smarcamento di un compagno di squadra. Deve abbinare, alle qualità “classiche” del portiere, una tecnica di calcio che gli permetta di trasmettere il pallone con un livello di qualità elevato, nelle distanze corte, medie e lunghe, con pochi tocchi dalla palla, non permettendo a gli avversari di organizzarsi in maniera preventiva.

Anche il rilancio dell’azione di attacco, oggi chiamata partenza dal basso o costruzione, come dicevamo prima ha assunto un nuovo, rilevantissimo significato. Per essere al passo con l’evoluzione del calcio, il portiere deve essere «iperattivo», con abilità podaliche importanti, capace di lavorare e muoversi non solo con il reparto difensivo, ma con l’intera squadra. Dev’essere anche dotato di una completa gestualità delle mani, in modo da fare ripartire la squadra in qualsiasi posizione dell’area di rigore si venga a trovare.

Penso che più andremo avanti, più evolverà e aumenterà la molteplicità di richiesta per il ruolo del portiere. Noi allenatori dei portieri dobbiamo essere in grado di allenare i portieri a sviluppare le molteplici competenze che verranno pretese dall’allenatore. Il portiere moderno, oltre ad avere una percezione completa della sua fisicità e potenzialità, dev’essere mentalmente «iperattivo» e deve possedere naturalità podaliche come quelle di un giocatore di movimento. Deve avere la concezione ben chiara che da lui parte l’inizio dell’azione offensiva e, nel bene e nel male, dalla sua prestazione dipenderà il risultato della partita. Deve essere in grado di svolgere il suo ruolo nel contesto di squadra, e non pensare al portiere come ruolo individuale a supporto della squadra. Anche negli allenamenti, il portiere deve essere coinvolto molto spesso nei lavori con la squadra così da sviluppare una conoscenza elevata e reciproca con i compagni, in modo da poterla ritrovare durante la gara.

 

1 - Con questo articolo comincia una serie di editoriali in cui Fabrizio Capodici ci farà dono della sua esperienza come portiere, tra racconti di aneddoti sui portieri, esperienze di campo, iniziative e tanto altro sul significato di essere e sentirsi estremi difensori, ma soprattutto numeri uno.


Uno dei miei idoli di sempre tra i pali, nelle uscite, per fisicità e carattere, Peter Schmeichel, disse: “Durante la mia carriera da giocatore, una cosa che ho imparato è che la comunicazione è vitale nel calcio, non solo per noi portieri ma per tutti i calciatori. Tuttavia, a mio avviso, è ancora più importante che i portieri possano comunicare in modo sicuro ed efficace con i loro compagni di squadra”.

Quando si comincia a giocare in porta, oltre agli allenamenti sulla tecnica, un gran lavoro si fa sull’aspetto del carattere e della comunicazione. Ci sono portieri che per natura sono portati a essere socievoli e trascinatori, leader naturali che dalle retrovie guidano la squadra dando indicazioni su come muoversi, dove passare la palla, che zona del campo coprire, e via dicendo. Ci sono poi i più timidi, che sopperiscono con un grande spirito di osservazione e un lavoro più profondo di tattica alle poche parole proferite alla squadra; poche ma buone, essenziali.

Potremmo dividerli in due categorie, i portieri impulsivi e i razionali, gli istintivi e i riflessivi. Due categorie di portieri, senza dire meglio o peggio, è “solo” carattere e vi sono grandi esempi di ambedue le categorie che hanno avuto carriere eccezionali, costruendo i loro punti di forza proprio su questi due assi diametralmente opposti, eppure uniti da un filo conduttore, ovvero l’importanza di comunicare. Il portiere in effetti è solo, come dice anche il nome della mia rubrica, per cui l’unico vero legame che ha con il resto della squadra è tramite le parole.

Ma perché è così importante parlare? Perché a un portiere si chiede fin dalla giovane età di comunicare con il resto della squadra e diventare una sorta di secondo allenatore in campo? Tanto per cominciare per la visuale: Ricordiamoci che, dopotutto il portiere ha la migliore visuale di tutte le posizioni in campo ed è responsabile dell'organizzazione dei suoi giocatori davanti a loro, sia in possesso palla che, soprattutto, in fase di non possesso della palla.

In secondo luogo per una questione di fiducia: Per il portiere ritengo sia molto importante avere fiducia in se stesso e altrettanto importante, da non sottovalutare, sentirla dall’intero staff. Più sentirà la fiducia, e più avrà fiducia in se stesso, questo lo renderà in grado di comunicare con i giocatori in modo più efficace. Oltre a dare istruzioni ai giocatori, dovrà anche offrire incoraggiamento, incitarli e caricarli, soprattutto nelle situazioni più importanti di una partita.

Quando un portiere comunica con i giocatori è importante che dia istruzioni forti, chiare, concise e comprensibili. Potrebbe essere un problema se i giocatori non capiscano cosa stia dicendo loro, quindi dovrà usare un linguaggio e delle terminologie conosciute e di conseguenza, più facili e immediate da interpretare. Questo può essere allenato negli spogliatoi o, meglio ancora, sul campo di allenamento. Più il tuo tono di voce sarà forte, più sicurezza avranno i compagni di squadra in lui.

Anche il tono è importante, il portiere dovrà far capire esattamente in che situazione si trovano i suoi giocatori e diventerà i loro occhi. Faranno affidamento completamente su di lui e dovrà descrivere tutto ciò che è dietro di loro, in maniera concisa. Dovrà capire che non solo ascolteranno le sue parole/comandi, ma anche come verranno dette. Ad esempio, se sta urlando a gran voce e comunicando in modo affrettato, possono andare nel panico e pensare di avere meno tempo sulla palla di quello che hanno in realtà. La comunicazione è molto importante in campo, ma anche al di fuori del campo.

In conclusione, credo vivamente che questi siano tutti aspetti della comunicazione che dovrebbero essere allenati e preparati insieme al portiere, prima di una partita e non durante. Ovviamente le cose cambiano durante la partita, come le situazioni o gli schemi di entrambe le squadre, e li sta al portiere essere bravo ad adattarsi, e di conseguenza attraverso la sua capacità comunicativa risolvere la situazione. Considerando che la comunicazione e l'esperienza vanno di pari passo.

Inoltre, dovremmo essere bravi noi allenatori dei portieri, a trasmettere il giusto equilibrio nei portieri più giovani, poiché non dobbiamo fare l’errore di sovraccaricarli con la responsabilità di come comunicare con i difensori/giocatori nella fase di apprendimento e nella loro crescita emotiva personale.