Venerdì, 22 Novembre 2024

Rajan (nella foto), è un bambino di poco più di 10 anni, l’ho conosciuto Giovedì pomeriggio scorso a Volpiano. Ero andato a vedere una partita della categoria Giovanile e mentre stavo per entrare, antistante al campo della società del Volpiano calcio c’è uno spazio verde rettangolare delimitato tutto intorno da una rete con l’ingresso da un cancello. Mi colpì subito vedere quel papà solitario che allenava il suo bambino, mentre tutto intorno c’era un via vai di macchine, giocatori, borse, allenatori ecc., da soli al fondo di questo prato rettangolare. Vedevo il papà che lanciava la palla al suo piccolo, dicendogli come toccarla, come fermarla, i movimenti e lo scatto.

 

Non resisto. Apro il cancello ed entro avvicinandomi piano verso di loro. Rajan sbaglia a prendere più delle volte il pallone, lo “cicca”, lo stop è da migliorare, l’infinita pazienza del papà che gli dice come fare con la palla e soprattutto come usare i piedi, gli scatti che deve fare e come girarsi con il pallone, come prenderlo con la testa mimando le mosse e i gesti tecnici.

Sono arrivato vicino a loro. Li saluto e mi presento come giornalista di giocaacalcio, spiegando loro che vedere cose del genere sono ormai rare come diamanti. Il papà è originario di Casablanca, Marocco, persona gentile e pacata, pieno di pazienza per il proprio figlio che lo abbraccia continuamente e lo incita con parole calme senza urlarle. Mi spiega che aveva cercato di portarlo in una scuola calcio, ma a causa dei troppi allenamenti, la troppa pressione, gli orari non compatibili e soprattutto il costo esorbitante per lui, dopo qualche mese ha dovuto ritirarlo anche perché gli avevano fatto capire che con il “pallone e il calcio” Rajan, secondo loro, non era tanto “forte”. Insomma non avevano tempo, forse, da dedicare a un bambino che vuole divertirsi giocando al pallone, forse anche per qualcuno troppo “scarso”. E così, mi dice sempre il papà, ho deciso di allenarlo io venendo un paio di pomeriggi a settimana in questo prato cercando di insegnarli i movimenti ma soprattutto per farlo divertire. Bravo!

 

 

Rajan continua a guardarmi con quegli occhi limpidi e genuini come un bambino può fare, lo guardo e gli domando se lui è contento:

 

<<Il mio papà mi insegna come giocare e come prendere il pallone>>.

<<E che ruolo ti piacerebbe giocare?>> gli chiedo.

<<Ma, l’attaccante o in difesa. Non importa basta che gioco>> mi risponde con un sorriso mentre il papà lo accarezza amorevolmente con gli occhi.

<<Sai Rajan, sono venuto da te a vederti e parlare con il tuo papà perché anch’io quando ero piccolo come te giocavo con il mio papà>>

<<Ed era bravo il tuo papà?>> mi chiede.

<<Si. Era bravo e paziente come il tuo che passa il tempo con te a insegnarti a giocare al calcio>>

 

C’è ne fossero di papà di Rajan che il proprio tempo libero lo passino con il proprio bimbo a giocare al pallone, senza urlare, senza pressioni, senza pretese e non arrabbiandosi mai quando non sa prendere la palla. Lo ammiro quel papà, per la sua pacatezza e gentilezza, pazienza e voglia di stare con il proprio bambino. Mi confessa pure che, quando era ragazzo, giocava in una squadra giovanile di Casablanca e si vedeva per come toccava il pallone che ci sapeva fare. Mi ribadisce che ha dovuto portarlo via dalla scuola calcio dopo qualche mese, sia per orari e costi, ma anche perché ha dovuto subire una sorta di umiliazione per via che il suo Rajan, per l’età che ha, era troppo “indietro” con gli altri bambini. Lo capisco, so cosa vuol dire quando a un bambino gli si dice che il calcio non è cosa sua, a dispetto del divertimento che invece dovrebbe essere assicurato.

 

<<Senti Rajan, posso fare un articolo su di te?>> gli chiedo

 

Mi guarda spaurito non sa cosa vuol dire. Un bambino genuino e chiaro come l’acqua cristallina da una fonte di giovinezza che si potrebbe bere insieme ai suoi grandi e splendenti occhi, mi guarda impacciato farfugliando qualcosa. Non sa cosa dire, non è abituato che un signore lo avvicini e gli faccia una intervista. Gli altri bambini con le divise e borsoni che giocano nelle scuole calcio forse si sono abituati, ma lui che gioca e si allena in un anonimo prato con il suo papà tutto si può aspettare che un giornalista lo intervisti. Lo abbraccerei.

Il papà, sempre con tono pacato mi dice di si, che posso fare l’articolo. Così chiedo a Rajan di mettersi in posa per fargli la foto come ai veri giocatori.

 

Era ora di andare per me, dovevo vedere la partita che di li a poco stava per iniziare. Ringrazio il papà per il tempo dedicato e soprattutto ringrazio il piccolo Rajan che continua a farmi domande sul calcio e delle sue speranze di giocare in una vera squadra un giorno. Lo saluto stringendogli la mano e gli dico che lui è un bambino fortunato. Tanti bambini come lui non hanno un papà così bravo come il suo che lo “allena” e soprattutto si diverte con lui giocando al pallone, e che il suo futuro sarà sicuramente più felice di altri bambini anche se non giocherà in una vera squadra. Saluto il papà che mi ringrazia sorridendo affettuosamente verso il proprio bambino. Gli dico che mercoledì prossimo uscirà l’articolo sul portale del giornale, e lui molto gentilmente mi stringe la mano ringraziandomi.

 

Vado via con una punta di malinconia. Sarei rimasto lì a guardarli in quel prato dove ci sono solo loro due e nessun altro, dove un papà paziente con un pallone cerca di insegnare al proprio bambino il divertimento di giocare con un pallone.

Li lascio soli ad allenarsi in quel silenzio che da lontano è rotto dalle urla che salgono dalle tribune dello stadio dove nel frattempo è iniziata la partita. Entro dentro le tribune e mi siedo, ma le grida e il trambusto mi mette a disagio. E mentre vedo l’ala sinistra che si invola e con un preciso pallonetto scavalca il portiere e fa gol, urla e grida di gioia, mi manca quel silenzio di prima. Anche lì, in questo momento, nel prato silenzioso e senza spettatori Rajan ha fatto gol. Un gol mai visto prima, in nessun campo da calcio, da antologia, da incorniciare nelle bacheche dei papà che si divertono con il proprio figlio.

 

La Redazione (AM)                   

 

Domenica mattina, di buon ora, mi alzo per andare a vedere una partita di ragazzini alla periferia ovest di Torino tra due squadre, per così dire, di due quartieri vicini e rivali. Si affronteranno in una lotta serrata. La notizia l’avevo avuto il giorno prima da “voci” che mi erano giunte da fonti segretissime del quartiere. Una specie di “disfida di Barletta” in quanto c’è una rivalità tra i due quartieri, e allora i ragazzini se la contendono con una sana partita di calcio.

Dopo avermi preso gli accidenti di mia moglie: <<Ma dove vai a quest’ora della Domenica?>>, preso due  tazze di caffè e fumato almeno cinque sigarette di prima mattina, mi avvio verso il campo destinato al “Derby” di quartiere.

La giornata era ideale, tiepida e con un sole a sprazzi che scaldava quel tanto basta per giocare una partita di pallone. Arrivo sul posto e riconosco subito il terreno di gioco, un vero campo non coltivato con sprazzi di verde e molta terra, ma con le porte regolamentari di ferro arrugginito piantate nel terreno. Insomma un campo di calcio abbandonato come ce ne sono tanti nelle nostre periferie, dove le amministrazioni comunali se ne infischiano di curarli alla faccia del “facciamo giocare per strada i nostri figli”, tanto saranno costretti a portare i bambini nelle scuole calcio con tanto di esborso di denaro per vederli giocare.

L’unica cosa che non va, è che il campo dove si giocherà confina con un vero campo di calcio, di una società calcistica, dove si stanno giocando partite “ufficiali” della categoria Esordienti, confine delimitato da una rete oscurata per non far vedere ai Papà “portoghesi” che sono costretti a sborsare 5 Euro per vedere dieci minuti di partita del proprio figlio. Il calcio è un bene prezioso e quindi bisogna pagare per vederlo. Su per giù dicono così.

 

 

I ragazzini, di età mista dai dieci ai tredici anni, li vedo che arrivano alla spicciolata, chi è già vestito con pantaloncini e maglietta, chi ha una borsa con il cambio, chi ha la maglietta della Juve con la scritta Dybala (regalo di qualche papà tifoso) e tuttavia tutti pronti a giocarsi la partita fino all’ultimo. Dopo circa mezz’ora ci sono tutti, due palloni disponibili, capitani al centro del campo che si giocano il campo, senza monetina ma con i numeri buttati con le mani. Non è previsto riscaldamento. Qualcuno dice che per mezzogiorno deve andare via, qualche altro si sistema le scarpe. Tutti pronti. Io mi siedo su una panchina, come sempre unico spettatore, che mi fa vedere il campo e la stradina dove invece passano i genitori con i borsoni e figli che vanno al campo vero a disputare la partita tutti con le tute di rappresentanza. Pazienza non tutti sono perfetti. Prendo il taccuino e la penna per segnarmi le fasi salienti della partita. Per semplicità divido le due squadre in A e B.

 

Si parte. La squadra B appare molto più pimpante, fluida, un buon centrocampo, ha le fasce velocissime e non passano cinque minuti che già si porta in vantaggio con un bel diagonale di Riki da fuori area (ipotetica) che infila il portiere avversario. Una lotta serrata a centrocampo e molti falli che spezzettano la partita, ma è sempre la B che ha il sopravvento e nel giro di pochi minuti raddoppia con Edo che raccoglie ai cinque metri un filtrante dalla sinistra e con un tiro violentissimo insacca sulla destra della porta. Felicità e disperazione accompagnano i minuti iniziali. Nel frattempo dietro di me sento le “urla” dei genitori nel campo dove si gioca la partita ufficiale. Urla di gol, di incitamento e qualche parolaccia. Ma io continuo la cronaca della mia partita. Dopo la terza rete segnata sempre da Riki della B il migliore in campo (non sfigurerebbe se giocasse dall’altra parte), la squadra A cerca di accorciare le distanze con cambi di posizione, e dopo qualche minuto ci riesce con il suo centravanti Paolo che sta fermo nell’area avversaria, prendendo un pallone con il ginocchio che gli fa fare una traiettoria che infila il portiere. 3 a 1 per la B. Nel frattempo dall’altra parte le “urla” aumentano, si infittiscono le imprecazioni: <<Ma che cazzo fai arbitro!!>> meno male che qui la partita è auto arbitrata.

 

La partita si trascina per altri venti minuti con ribaltamenti di gioco da una e dall’altra parte, ma è sempre la squadra B a essere quella maggiormente padrona del campo e del gioco. Ad un certo punto si accende una “rissa” per un fallo subito da un giocatore della squadra A: spintoni e qualche calcetto ma poi tutto si rimette a posto come solo i bambini di “strada” sanno fare. Punizione che viene tirata direttamente in porta e porta sul 3 a 2 la squadra A.

Una partita combattuta non c’è che dire. Ma è sempre la B ad essere pericolosa, ci prova due volte ma il portiere riesce a pararla o deviarla. Nel frattempo si sono fatte le undici, si gioca da quasi un’ora e dall’altra parte, il campo “ufficiale”, inizia una’altra partita. Altre “urla” questa volte più forti che mi rimbombano dentro come pugnalate. Che differenza con la mia partita.

Nel frattempo la B sfiora il gol diverse volte, il solito Riki ed il compagno di centrocampo Niko sono pericolosissimi. La pressione della squadra A aumenta per agguantare il pareggio, ci prova, ma il centrocampo avversario è ben messo e dà poco scampo. Fino a quando, grazie a un rinvio sbagliato, il centrocampo della A riesce ad impossessarsi del pallone e con un lancio lungo raggiunge Davide (quello che ha la maglia di Dybala) che correndo sulla destra riesce a prendere il pallone tirando direttamente in porta. La palla violentissima passa tra le gambe del portiere. E’ il pareggio 3 a 3! Urla di gioia e abbracci tra i compagni accompagnano il gol del pari. La felicità di un gol di “strada” non ha prezzo, vale più di tutte le partite di campionato ufficiali, perché genuino e frutto della propria capacità e fantasia di esprimersi, senza allenatori e soprattutto genitori che ti urlano dietro.

 

La partita è oramai agli sgoccioli, qualcuno è già andato via, si gioca da quasi un’ora e mezza e si trascina stancante sul pareggio, felici e contenti e soprattutto senza nessun vincitore come giusto che sia. Mi preparo per “intervistare” i capitani delle due squadre.

Al di là della rete le imprecazioni si sprecano. Ad un certo punto sento distintamente un urlo provenire dagli spalti come un pugno in faccia: <<ma spaccagli le gambe a quello li>>.

 

Io come tutti voi amo questo sport e tante volte ho denunciato i comportamenti dei genitori, e sono sicuro che anche voi avrete sentito qualcuno che dagli spalti dice così. Dico: Ma è possibile? Non cambierà mai questo mondo del calcio dei ragazzini, almeno fino a quando ci saranno queste esasperazioni. Scuoto la testa, e mentre vado a “intervistare” i capitani delle due squadre sento che si accende una rissa nelle gradinate. Evidentemente il Papà a cui al figlio dovevano spaccare le gambe, avrà spaccato la faccia al papà che lo ha detto. Bell’esempio davanti ai quei bambini. Bravi!

Capitano Davide squadra A: <<Ci siamo riusciti a pareggiare e potevamo anche vincere. Va bene lo stesso. Vinceremo la prossima partita>>.

Capitano Riki squadra B: <<Noi siamo più forti, lo sanno. Ci siamo mangiati tanti gol. Poi il nostro portiere ha fatto la papera e li ha fatti pareggiare>>.

Se ne vanno via, con il sorriso felice stampato in faccia, abbracciati e amici più di prima. Sicuramente si ritroveranno tutti insieme a giocare un’altra volta. Da loro nelle partite “le gambe non si spaccano” perché giocano al pallone. Buona Pasqua a tutti!

 

La Redazione (AM)                 

Per domenica mattina, ero stato invitato dalla redazione del giornale, a seguire la manifestazione che si è svolta nel centro di Torino “STRADACALCIANDO” organizzata dalla FIGC per celebrare il 120° anniversario della Federazione e per celebrare anche il “calcio di strada” vera e propria passione dei bambini. Una gran bella iniziativa per alimentare ed educare i più piccoli verso il mondo del calcio.

 

Così al mattino uggioso e piovigginoso, prendo la macchina e mi avvio verso Torino per seguire la manifestazione, convinto sempre più che bisognerebbe fare anche una manifestazione per i genitori per educarli nel mondo del calcio. Strada facendo passo davanti al “Parco Pertini” e con un rapido sguardo vedo un gruppo di bambini che stanno per iniziare una partita di pallone, nello spazio oramai delimitato a campo di calcio dalle innumerevoli partite giocate, con due grossi alberi a fare da porta e rami che sporgono ai lati forse per delimitare la larghezza. Qualcuno dietro di me suona il clacson per farmi andare avanti perché rimango fermo: Vado a Torino o mi fermo qui? E’ la domanda che mi rimbomba nella testa. Alla fine decido di fermarmi, tanto la manifestazione della FIGC sarà seguitissima e la mia presenza non sarebbe stata certo necessaria.

 

 

Scendo e mi avvio verso di loro. Il parco è deserto e a parte loro c’è qualcuno che porta il cane a fare una passeggiata. Sono una decina, quindi sarà una partita a cinque con il portiere che fa anche da difensore. Terreno di gioco fangoso e pesante, spettatori uno. Io. Le divise sono un pò alla meglio, qualcuno ha i pantaloncini, qualcuno i jeans, qualcuno una tuta, qualcuno ha le scarpette da calcio altri quelli da ginnastica, ma tutti con una sana voglia di fare la partita di pallone fango o non fango. Mi sistemo sulla panchina di fronte e accendendomi l’ennesima sigaretta del mattino inizio a seguirli. Dopo una lunga discussione a formare le due squadre, con qualche leggero spintone, il “capitano” (senza fascia) con il pallone sotto braccio da l’inizio alla partita che sarà “veramente” auto arbitrata. Naturalmente non essendoci allenatori gli schemi sono un po azzardati, ma tutto sommato il gioco c’è e la grinta pure, qualche tocco veramente di pregio e molti “lisci” per via del terreno di gioco pieno di buche e rami che cadono dagli alberi. I gol si sussegono uno dietro l’altro, qualche amichevole “scazzottata” quando il pallone entra nella “porta” che non avendo altezza è oggetto di recriminazioni e discussioni infinite. A un certo punto, un bambino viene “atterrato” in un’area di rigore immaginaria. Il capitano urla: E’ rigore! Apriti cielo. Spintoni e urla, discussioni e misurazioni della fantomatica area. Alla fine tutti accettano il calcio di rigore che viene trasformato proprio dal capitano (che comanda entrambe le squadre come sempre accade nelle partite al parco giochi), che urla di gioia facendo “l’aeroplanino” verso i compagni.

 

Mi accorgo che ogni tanto, i ragazzini guardano l’unico spettatore seduto sulla panchina che li segue e che si sta divertendo un mondo a guardarli. Iniziano a chiedersi: <<Ma quello li cosa vuole?>>

La partita si trascina avanti sempre con un numero impressionante di gol da una e dall’altra parte, le ali destre le più attive, mentre il centrocampo è terreno di vera e propria battaglia, tutti a inseguire il pallone fino a quando inizia a scendere una leggerissima pioggerellina che certo non spaventa i giocatori in campo. Sono affascinato e incantato nel vedere quei bambini giocare una “sana” partita di pallone, e faccio pure da raccattapalle visto che il pallone il più delle volte schizza via verso ignote destinazioni. Mi rivedo: a dieci anni che giocavo per strada con i miei compagni le partite di pallone interminabili e non importava il risultato finale, ma importava divertirmi con i miei amici e fare gol.

 

A un certo punto la pioggia diventa più forte e la partita si autosospende per “impraticabilità” del campo, decisa all’unanimità dei giocatori se no guai a ritornare a casa più infangati di quanto non lo fossero già. Così tutti i giocatori e l’unico spettatore, cioè io, ci ripariamo sotto una pensilina del chiosco del parco che naturalmente era chiuso per la brutta giornata. I bambini mi guardano che sorrido contento e si chiedono chi fosse questo “imbecille” che sta a guardare loro giocare sotto la pioggia la domenica mattina. A un certo punto, il capitano, inzaccherato e infangato, che è il più spigliato di tutti mi dice:

<<Ma tu volevi giocare con noi>>? No, rispondo.

<<Allora cosa guardavi>>?

<<Guardavo voi giocare perché mi piace. Sono un giornalista e dovevo andare a vedere una partita ma ho visto voi e così ho deciso di fermarmi a guardare>>.

<<Allora ci metterai sul giornale? Quale è ?>>

<<Certo che vi metterò sul giornale. Sono qui apposta. E’ un giornale che scrive le partite di calcio dei bambini>>.

<<Se vuoi vieni domenica prossima. Noi tutte le domeniche facciamo la partita di pallone>>.

 

Non c’è più tempo. Tutti decidono di correre verso casa perché la pioggia è diventata forte. E mentre li vedo correre verso l’uscita sento un ciao da parte loro. Li invidio quei bambini. Li invidio. Ma se avessi giocato anche io e sarei ritornato tutto infangato, cosa avrebbe detto mia moglie? Vi lascio immaginare.

Rimango solo in quel parco, sento la pioggia che scende tra i rami che battendo sulle foglie suona come una applauso da stadio per quei bambini che hanno dato spettacolo con la loro partita di pallone, i bambini non ci sono già più, la partita è durata circa una mezz’ora per la pioggia che mi ha inzaccherato tutto dai piedi alla testa. Guardo quel “campo di pallone” immaginario, senza “tribune” e senza “biglietteria a 5 Euro” con una stretta al cuore perché vorrei avere un pallone in quell’istante e mettermi a giocare come avevano fatto loro. Ho promesso a quei bambini che avrei scritto di loro, della loro partita e del loro divertimento.

 

Corro verso la macchina tanto oramai andare a Torino per la manifestazione non se ne parlava nemmeno. Mentre ritornavo verso casa, passo davanti a un campo, quello vero, dove si sta giocando una partita di campionato dei Pulcini con le loro divise, allenatori che li guidano e i dirigenti che si occupano di loro come fossero veri calciatori. Sento urla, imprecazioni e le immancabili parole offensive da parte dei genitori. Non fa per me. Ho scritto che avrei lasciato il calcio ufficiale e mi convinco sempre più che ho fatto bene. Mentre mi riavvio, con la mente ritorno alla partita del parco giochi e a quei bambini dagli occhi sorridenti e felici, a quella genuinità di emulare i più famosi calciatori con le loro prodezze, a quella sana è indiscussa voglia di divertirsi dietro a una palla e fare gol. E poco importa se si sono scazzottati, alla fine sono rimasti sempre amici proprio come il “calcio di strada”. Ci vediamo Domenica prossima!

 

La Redazione (AM)            

 

 

Simone io lo conosco. E’ un ragazzone gioviale, con il sorriso stampato in un viso aperto disponibile con tutti e sempre pronto ad aiutare chi è in difficoltà. Tecnicamente preparato e un gran conoscitore del calcio che riesce a trasmettere durante gli allenamenti. Tutti gli vogliono bene e lo rispettano, soprattutto i suoi bambini, genitori e chiunque abbia a che fare con lui. Simone è istruttore al SanMaurocalcio, in quel di San Mauro Torinese, allena i Pulcini 2007 e i Piccolissimi 2011 e 2012, per intenderci batuffolini alti si e no ottanta centimetri. Ha come si dice in questi casi, la dote di “saperci fare” con i bambini e spesso deve fare anche da “padre” per i bambini che non hanno fatto i compiti o spiegare loro come ci si comporta in certe situazioni. Insomma Simone è un “ragazzo d’oro” che tutti vorrebbero avere come “Mister” per il proprio bambino.

 

Domenica della settimana scorsa, Simone e i suoi Pulcini 2007, sono andati a disputare una partita in un torneo in collina contro una squadra più forte di loro. Lo sapeva, ma il suo innato ottimismo e la voglia di divertirsi che riesce a trasmettere ai suoi bambini li ha fatti scendere in campo per “giocarsela” anche contro squadre più forti. La cronaca della partita è tutta qui: finisce 17 a 0 per la squadra avversaria.

Perdere incassando17 gol non è certo divertente, anzi, lascia sempre nei più piccoli tanta amarezza e sconforto. Al termine della gara i suoi bambini, con il capo chino per la solenne bastonata calcistica si avviano verso gli spogliatoi tra gli applausi di tutti i genitori e tifosi presenti sugli spalti. Ma lo spettacolo è vedere lui, i suoi occhi e il suo viso da “bambino” mortificato per la sua squadra. E’ come se quei 17 gol li abbia presi direttamente lui nella pancia, nel suo cuore eterno da bambino da star male per i suoi piccoli giocatori che hanno perso in quel malo modo.

Aspetto come sempre l’uscita dagli spogliatoi. Arriva lui con quegli occhi mortificati e lucidi e come sempre il suo sorriso che nasconde quella amarezza di non aver potuto gioire assieme a loro quella mattina di domenica, magari si perdendo ma non in quel modo con tanti gol. Arrivano i bambini e assisto ad una scena che, anche se raccontata da un cantastorie come me, non si riesce a descrivere se non vissuta lì in quel momento. I bambini si avvicinano tutti intorno a lui, quasi lo stringono negli abbracci, di colpo vedo i suoi occhi che si inumidiscono di gioia, ritorna quel sorriso aperto e felice. Lui cerca di rincuorarli:

 

 

<<Mi dispiace ragazzi. Erano più forti di noi. Mi dispiace per voi avete giocato bene e a testa alta. Sono orgoglioso di voi>>

 

<<Dai Mister. Abbiamo perso solo una partita. Ci rifaremo la prossima>>

 

Dice un bambino con la sua divisa e il borsone che trascina.

 

<<Non te la prendere Mister. Non è colpa nostra. Non ce l’abbiamo fatta>>

 

Sento dire dal suo portiere che ha preso ben 17 gol, ma felice di essere lì con il suo Mister.

 

Anche i genitori sono li per rincuorare il Mister. Tutti intorno a lui, bambini e genitori per rincuorare un Mister da un cuore grande da bambino e dispiaciuto per loro per la pesante sconfitta. Li vedo andare via tutti insieme i bambini sempre intorno a lui, quasi la sconfitta fosse una grande vittoria in una domenica mattina andata male.

 

Venerdì pomeriggio, Simone mi invita per il sabato mattina ad assistere all’allenamento in “maschera” con i suoi più piccoli del 2011 e 2012.

 

<<Sai, abbiamo pensato visto che è carnevale, di far fare l’allenamento ai piccoli in “maschera” per farli divertire giocando>>.

 

La partita persa è già un ricordo. Ora c’è da pensare ai suoi bambini più piccoli.

 

Arrivo il mattino del sabato, lui Simone con una grande parrucca colorata, il naso finto e il viso disegnato e quel bel sorriso stampato sul viso pronto ad accogliere i piccolini, che arrivano alla spicciolata: chi travestito da superman, chi da carcerato, chi da poliziotto, tutti con le scarpette da calcio e genitori entusiasti con al seguito pizzette, nutelle, panini e leccornie varie per la immancabile festa a fine allenamento. Uno spettacolo quel sabato mattina, la partitella in “costume” e Simone protagonista con i suoi piccolissimi che sono felici di potersi divertire giocando al pallone con il loro “Mister” travestito anche lui.

 

Lo invidio Simone, vorrei essere al suo posto, trasmettere quella sana felicità eterna da bambino, divertirmi con lui e giocare magari cadendo a terra come fanno quei bambini, vorrei dipingermi anch’io il viso e mettermi una parrucca per condividere quei momenti e ritornare bambino come loro per giocare al pallone. Lui è uno spettacolo a vederlo, soccorre un bambino che piange perché si è fatto male in uno scontro, accarezza il centravanti che ha fatto gol, abbraccia il portiere che ha fatto una gran parata ed a un certo punto, verso la fine dell’allenamento, Simone per terra e tutti i bambini sopra di lui vestiti con i loro costumi ad abbracciarlo e festeggiare quel gran momento di felicità. E poi tutti insieme, Mister, bambini e genitori a mangiare in una tavolata improvvisata, ricca di felicità con Simone che si sporca il naso finto con la cioccolata e i bambini a ridere di lui. E lui ride di aver reso felice loro insegnandogli a giocare al pallone con il divertimento, con la gioia di stare insieme, di soffrire si per una sconfitta, ma di far capire a loro che in fondo il calcio è un gioco.

 

Simone è un gran ragazzone con un cuore grande da bambino. Ha perso si, una partita per 17 a 0, ma ha vinto sicuramente nel cuore dei suoi bambini.

 

La Redazione (AM)              

 

Quando ero bambino, pressappoco 10 anni di età, la partita di pallone con i miei compagni si svolgeva nella via principale del quartiere, su per giù una ventina di metri, in leggera salita e con le macchine posteggiate ai lati che delimitavano il campo di gioco. L’area di porta era a “occhio” così come l’altezza e a volte dopo qualche “scazzottata” si assegnava un gol o un rigore. Il sabato pomeriggio riunione nella via per formare le squadre e poi la domenica mattina partitona con tutti gli abitanti del quartiere affacciati ai balconi a guardarci. Un pubblico da gusto prelibato. Il sabato una volta fatte le squadre veniva fuori la fatidica domanda:

<<Chi porta il pallone?>>

Eh si. C’era sempre il problema del pallone e c’era sempre un nostro compagno, Piero, che diceva sempre:

<<Lo porto io. Però voglio giocare.>>

Noi sapevamo che Piero era “scarso” e durante la partita non gli passavamo mai la palla, cosa che lo faceva arrabbiare e a un certo punto della interminabile partita, prendeva il pallone con le lacrime agli occhi e se ne andava via lasciandoci senza pallone.

<<Dai Piero dacci il pallone. Ti passeremo la palla. Dai…>>

<<No. Con voi non gioco più.>>

E’ finiva così, a volte, l’impegno calcistico domenicale con i nostri calzettoni bucati e le scarpette di gommapiuma.


 

Sabato pomeriggio sono andato a vedere una partita dei Pulcini 2008, pressappoco la mia età da ragazzino, che giocavano al torneo “Pulcino di Pasqua”. Le due squadre che si affrontavano con tutta l’energia e la voglia di vincere, gli allenatori che urlavano le posizioni in campo e gli immancabili “genitori-skinheads” che a vederli mettevano quasi paura. Mentre guardavo la partita affascinato da quei indomiti bambini con il pallone (Ah! Come avrei voluto giocare con loro), all’improvviso eravamo nel secondo tempo di gioco, un bambino esce dal campo e si va a sedere piangendo per terra. Il “Mister si china verso di lui e gli chiede cosa fosse successo.

<<Non mi passano la palla. Non mi fanno giocare i miei compagni e allora sono uscito.>>

Il “Mister” cerca di rincuorarlo e fargli capire che ha lasciato i compagni con un giocatore in meno. Il “Papà-arbitro” non sa cosa fare, se fischiare o interrompere la partita, dagli spalti inizia un “tirribillio” di urla e sorpresa per quello strano comportamento.

<<Ma si che resti fuori. E’ pure scarso ogni volta che tocca la palla la “cicca”.>>

Questo sento dire addirittura da un papà tifoso.

Insomma, quel bambino non ne ha voluto sapere di rientrare in campo e rimaneva a piangere con le gambe incrociate sull’erba a testa bassa con qualche lacrimuccia di rabbia con i compagni della “panchina” che cercavano di rincuorarlo. E’ stato come un “flash” di un salto di oltre 50 anni nella mia mente, ero non li ma in una strada di quartiere ad assistere a quella scena.

 

Finisce la partita (per la cronaca ha vinto la squadra del bambino che era uscito) e come sempre mi avvicino agli spogliatoi. Questa volta volevo vedere quel bambino, guardare i suoi occhi e sentire la sua voce. Dopo un po che aspetto incomincio a vedere i bambini uscire ma lui non lo vedevo, si vede, pensavo, che il “Mister” stava ancora parlandogli e rincuorarlo. Nel frattempo cercavo di indovinare chi fosse il Papà per capire come avrebbe reagito al comportamento del figlio. Eccolo che arriva, accompagnato dal suo allenatore che ha un braccio sulle sue piccole spalle a rincuorarlo. Mi avvicino e mi presento come giornalista di Giocaacalcio, il “Mister” apre un sorriso smagliante convinto che avrei intervistato lui.

No. Sono qui per parlare con il bambino, oggi per me il migliore in campo tra tutti. Mi chino verso di lui che tiene lo sguardo basso, non è abituato alle “interviste”, cerco di guardarlo negli occhi ancora lucidi e le sue manine che cercano di asciugarli.

<<Come ti chiami?>>

<<Piero.>>

Per poco il mio cuore non si arrestò di botto. Un turbinio di pensieri improvvisi affollarono la mia mente. Non riuscivo a parlare e continuavo a guardarlo. Poi ripresomi dall’emozione:

<<Sai Piero, quando ero come te avevo un compagno con il tuo stesso nome e anche lui usciva dal campo perché noi non gli passavamo mai la palla>>.

E’ lui guardandomi con quegli occhi candidi mi dice:

<<Ma il tuo amico gioca ancora al pallone?>>

<<No. Non gioca più. Ma era il nostro migliore amico. Ci portava sempre il pallone per giocare anche se noi non gli passavamo mai la palla e lui si arrabbiava.>>

<<I miei compagni fanno così anche con me. Ma io gli voglio bene anche se non mi passano la palla.>>

 

Vorrei dirgli tante parole, fargli capire che in fondo è soltanto un gioco e anche se non gli passavano la palla, il suo coraggio e la sua determinazione hanno fatto capire sicuramente ai compagni che lui fa parte della “squadra”, fa parte di loro e il suo “Mister” lo avrebbe fatto capire ai compagni.

Mentre lo saluto, vedo arrivare il papà che tranquillamente lo abbraccia e lo rincuora donandogli un sorriso amorevole che di colpo illumina i suoi occhi e gli fa dimenticare la sua rabbia.  E mentre li vedo andare via, il Papà con la sua borsa e lui che sgranocchia un panino, sento dire da “Piero”:

<<Papà mi compri un pallone?>>

Sono sicuro che il Papà gli avrà comparato il pallone che sarà tutto suo e nessuno potrà portarlo via. Si passerà la palla da solo sbattendola contro il muro come faceva il mio amico Piero da bambino, e sono sicuro che il “pallone della vita” gli riserverà tante soddisfazioni.

Piero? Il migliore in campo. In fondo voleva solo giocare al pallone con i suoi compagni!

 

La redazione (AM)                     

Uno dei volti storici di “90 Minuto”

che ci ha raccontato nei collegamenti trent’anni di un calcio che ora non c’è più.

Celebri le sue interviste all’Avvocato Agnelli.

giocaacalcio.it, vuole rende omaggio e onore alla scomparsa di FRANCO COSTA, aveva 77 Anni, giornalista sportivo della RAI e uno dei volti celebri e storici della trasmissione "90′ Minuto”, dove il celebre conduttore PAOLO VALENTI lo chiamava in collegamento da Torino per raccontare le partite di Juventus e Torino. Un uomo che amava lo sport e che sapeva raccontarci con la sua garbata ironia la partita in collegamento dal “Comunale” di Torino appena conclusa, regalandoci nei brevi minuti di collegamento un saggio di sano giornalismo sportivo.

 

Con la sua eleganza sapeva impreziosire le gesta di Platini’, di Boniek, di Junior, di Ferri, dei “Derby della Mole” e tutti quanti giocatori sono passati davanti al suo microfono sempre attento e pronto a cogliere un racconto, quello domenicale, atteso da tutti gli sportivi e tifosi. Celebri le sue interviste all’Avvocato Agnelli subito dopo le partite, condite con quella sana ironia che entrambi sapevano impreziosire in una breve intervista per sdrammatizzare e magari scherzarci sopra a una sconfitta o a una vittoria.

 

Racconti che oggi purtroppo non ci sono più. Sapeva raccontarci di un calcio che ora non c’è più, di un calcio più gentile e meno chiassoso di quello di oggi, con la sua eleganza e i celebri cappelli alla “Borsalino” dava con la sua voce il racconto domenicale delle squadre Torinesi sbucando all’improvviso nello schermo sempre attento nel trasmettere le emozioni dello stadio e della partita.

 

giocaacalcio.it, a nome di tutti i tutti gli utenti che ci seguono, vuole esprime le più sentite condoglianze alla famiglia per la dolorosa scomparsa, una perdita per tutti gli appassionati di questo sport, il calcio, che per tanti anni FRANCO ha saputo raccontarci con la sua eleganza e una professionalità impareggiabile. Oggi nel mondo del calcio rimane un vuoto per la perdita di un grande appassionato di questo sport.

 

La Redazione                

Torino, 08/09/2016

 

Siamo oramai in dirittura di arrivo e si sono svolte oggi le semifinali dei due tornei esordienti. Tutte le gare sono state combattute ed avvincenti ed in due casi si è dovuto ricorrere ai rigori per definire le finaliste.

 

Nella categoria 2005 l'Alpignano si aggiudica la sfida contro il Lucento vincendo per 2 a 1 con goal di Cireddu e Tucci. Nell'altra semifinale sono stati i rigori a drecretare la finalista. A fne partita il risultato tra Chisola e Pro Settimo Eureka era ancora inchiodato sullo 0 a 0 nonostante le varie occasioni non concretizzate dal Chisola. Chisola che viene beffata poi ai  rigori vinti per 4 a 2 dalla Pro Settimo Eureka. Alpignano Pro Settimo Eureka sarà quindi la finale 2005.

 

 

Nella categoria 2004 basta un goal al Lucento per aggiudicarsi la finale ai danni del Volpiano. Sfida infinita invece tra Vanchiglia e Lascaris. Anche in questo caso tempi regolamentari finiti sullo 0 a 0 ed il Vanchiglia ha dovuto realizzare 9 rigori prima di potersi aggiudicare la finale. 9 a 8 infatti il risultato finale. Sarà dunque Vanchiglia Lucento la finale 2004.

 

In una nota inviataci in redazione la Società del SanMauro vuole fare i complimenti al suo ex Edoardo Fagnone:

Apprendiamo che il Vanchiglia si è aggiudicata questa sera l'accesso ala finale, battendo ai rigori il Lascaris. I nostri complimenti vanno all'ex Gialloblu, Edoardo Fagnone, autore anche del rigore della vittoria. Ne siamo felici che il nostro Edo sia in finale.
#FinoallafineforzaSanMauro

 

Appuntamento allora a sabato 10 settembre, presso i campi del Collegno Paradiso, in via Galvani 1, ore 16 per i 2005 ed ore 16:50 per i 2004, per assistere all'atto conclusivo di questa edizione 2016 del SuperOscar.

 

Salvatore Bonfiiglio                  

Torino, 06/09/2016

 

Un buon primo tempo giocato ad armi pari a con qualche occasione da entrambi le parti. Un errore della difesa, fino a quel momento attenta, spalanca la porta alla punta granata che realizza. Il vantaggio del Vanchiglia arriva nella ripresa, con due toccanti contropiedi che stendono i Gialloblu. Il SanMauro riesce ad accorciare le distanze sul 2 a 0, ma finisce tutto lì. C'è da dire che i ragazzi c'è l'hanno messa tutta ma, rispetto alle altre gare sono risultati un po opachi e con poca lucidità. Siamo comunque contenti del comportamento complessivo nel SuperOscar e della buone indicazioni che i mister hanno ricevuto nella sua complessità.

 

SuperOscar. Quarti di finale: Vanchiglia vs SanMauro: 5 a 1

 


Forza Ragazzi!
#FinoallafineforzaSanMauro


Nelle altre partite dei quarti di finale Finiscono ai rigori ben 2 gare dopo che in entrambi i casi i due tempi regolamentari non sono stati sufficienti per sbloccare i risultati. Dopo i calci di rigore passano quindi alle semifinali il Lucento vincente per 5 a 3 contro il Pro Settimo Eureka ed il Volpiano vincente per 4 a 1 sul Venaria. Nell'ultima partita infine il Lascaris vince per 2 a 0 sul C.B.S. e si aggiudica l'ultimo posto disponibile per le semifinali.

 

Appuntamento allora a giovedì 8 settembre per le semifinali del torneo con i seguenti accoppiamenti: Lucento vs Volpianio e Vanchiglia vs Lascaris.

Antonino Mirone         

Torino, 04/09/2016

 

Una doppietta di Martucci e una di Rocca, affondano senza dare scampo uno smarrito e rassegnato Orizzonti. Basta dire che il portiere del SanMauro non ha effettuato alcuna parata per tutta la partita. Una supremazia tecnica e di possesso palla, che ha avvolto gli avversari nelle spire Gialloblu. Poteva essere un risultato molto più rotondo per le innumerevoli occasioni che il SanMauro ha avuto. Grandi Ragazzi. Con questa sonora vittoria convincente i Gialloblu ci consegnano una fase finale del Torneo con più certezze.

 

Le reti per la cronaca tutti e quattro di pregevole fattura e frutto di una coralità dì gioco.

 

 


Forza Ragazzi!
#FinoallafineforzaSanMauro
#Cuorigialloblu

Antonino Mirone         

Torino, 03/09/2016

 

Un altro piglio, un'altra grinta e un bel gioco, ci consegnano un SanMauro ritrovato e in buona salute.

 

Già dal fischio di inizio i Gialloblu si fanno vedere per la ottima giornata. Un paio di occasioni e un buon possesso palla imbrigliato un Borgaro poco convinto e un po ubriacato dal tecnicismo del SanMauro.

 

È nel secondo tempo che arriva il gol. Prolungata azione asfissiante in area del Borgaro, atterramento in area e giusto il fischio dell'arbitro:calcio di rigore. Tiro di Najib e SanMauro in vantaggio. La partita si chiude con qualche velleità del Borgaro, subito stroncata dalla attenta difesa e da tre occasioni per il possibile raddoppio per i Gialloblu.

 


Forza Ragazzi!
#FinoallafineforzaSanMauro
#Cuoregialloblu

 

 

Nel girone del SanMauro, il Lucento, vincendo per 3 a 0 sull'Orizzonti United, si aggiudica matematicamente il passaggio ai quarti di Finale mentre SanMauro e Borgaro si giocano domani a distanza il secondo posto disponibile.

 


Tutte squadre sono oggi scese in campo e ci sono già le prime che si aggiungono al Lucendo ai quarti.

 


Nel girone B il CBS, vincendo per 2 a 1 sul Venaria, si affianca ai quarti al Lucento. Il Chieri, vincendo per 4 a 1 sul settimo si gioca invece domani contro il Venaria la secdonda posizione che vale il passaggio ai quarti.

 

Nel girone C invece i giochi sono già fatti. Volpiano e Lascaris, vincenti rispettivamente 3 a 1 contro il Chisola e 3 a 2 contro il Bacigalupo, sono ormai matematicamente ai quarti.

 

Infine nel girone C tutto è ancora da decidere. Solo l'Atletico Torino, perdente per 3 a 0 contro la Pro Settimo Eureka, è fuori dai giochi. Volpiao ed Alpignano, pareggiando 1 a 1, sono ancora entrambi ancora in corsa, insieme alla Pro Settimo, per il passaggio ai quarti.

 

Nella giornata di domani 4 settembre si disputeranno le rimanenti gare e si definirà il tabelllone dei quarti di finale.

 

Antonino Mirone